Cales, grandezza passata, miseria presente…

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“Fermati, o passeggier, il guardo arresta/ Non è Cartago già, ma  Calvi è questa…”

Così scriveva Giovanni Canzio a fine ottocento per parlare della sua Calvi Risorta, ovvero dell’antica Cales prima Ausone e poi prima gloriosa colonia romana in Campania. Importante avanposto di uno dei popoli della Campania antica, gli Ausoni, i quali diedero il primo nome alla nostra penisola, che da loro fu chiamata Ausonia.

Chi erano? Quesito di non facile risposta, come per tutti i quesiti che riguardano tempi così lontani, per i quali bisogna interrogare alcune fonti storiche (Timeo, Ellanico di Lesbo, Dionigi di Alicarnasso, Strabone, Diodoro Siculo, Tito Livio)  che ne hanno scritto centinaia di anni dopo, senza dirette testimonianze e in maniera non concorde. Gli studi derivanti dagli scavi archeologici effettuati in varie parti della nostra regione, intrecciati agli studi storico-epigrafici, ci dicono che gli Ausoni erano diffusi in parte della Campania, sia costiera che interna, parlavano la lingua Osca e si situavano, grosso modo, in un orizzonte cronologico che risale all’indietro fino all’ Età del Bronzo e poi del Ferro, I  millennio a.C. insomma. Si scontrarono, e talvolta convissero, con le culture Villanoviana-Etrusca, Greca e poi Sannitica, fino ad essere completamente travolti dai Romani.

La Cales fondata dagli Ausoni, dunque, si trovava su un lungo pianoro di tufo scuro circondato dai torrenti Rio dei Lanzi e Rio Pezzasecca, divenne nel 334 a.C. una colonia romana, al confine con l’area di diretta dominazione romana, col compito di controllare l’intera zona ai confini con il Lazio e il Sannio. Lo sviluppo che ricevette l’antico insediamento sottratto agli Ausoni fu rigoglioso: crebbero gli abitanti fino ad arrivare a 65 mila, crebbero le attività economiche. Cales era conosciuta fin nelle lontane province per la sua industria di strumenti agricoli, per il vino, per le terrecotte, i commerci, le sue acque, tanto da battere una propria moneta: il caleno. Importantissima l’industria ceramica, in particolare degli ex voto (eh, già!), che segnò la nascita della prima grande bottega di artigianato della Campania, nella quale si fabbricavano ceramiche a vernice nera e rossa molto richieste. Della città antica, oggi tagliata in due dall’autostrada, si conserva la cinta muraria, di cui alcuni tratti risalgono al V secolo a.C., con sei porte, il cosiddetto Ponte delle Monache, scavato nel banco tufaceo, l’Anfiteatro del I secolo a.C., le Terme centrali (I secolo a.C.), il Castellum aquae, un edificio relativo ad un tempio di età imperiale, il Teatro del II secolo a. C.

Ma Cales declinò, fu distrutta e saccheggiata da Alarico nel V secolo dopo Cristo e gli abitanti superstiti riuscirono a resistere, arroccandosi in grotte naturali e in povere baracche e praticando un’economia di tipo silvo-pastorale. Secoli dopo, intorno all’870 fu costruito un Castello, la cui costruzione iniziò Atenolfo, nipote del Vescovo-conte Landolfo II, per difendere la zona dall’attacco dei Saraceni; esso è  a pianta quadrata, con quattro torri cilindriche, realizzate in blocchi di piperno scuro.

Le Grotte dei Santi e delle Formelle, da visitare anch’esse, riutilizzarono nell’XI e XII secolo grotte scavate in epoca precedente e ospitano ancora oggi affreschi molto belli. Anche la Cattedrale Romanica risale al XII secolo, con la sua cripta e la sua bella torre campanaria.

Con tanta bellezza, ancora oggi a distanza di oltre vent’anni, dobbiamo dare ragione al grande archeologo Amedeo Maiuri, che nel riferire delle sue “Passeggiate Campane” sottolineava “ Eppure Cales, prima colonia di Roma nella Campania, città d’arti e di guerre, officina di belle ceramiche, di belle monete e di strumenti agricoli, prospera e pingue di commerci e di biade, è la più dimenticata e la più negletta delle città antiche della Campania”. Infatti ancora oggi la gloriosa città antica è sommersa dalle erbacce e affidata alla buona volontà di pochi che ancora la difendono dagli insulti del degrado cui è lasciata dalle istituzioni.

Una rete di associazioni dal 2014 lavora a un processo volontario di valorizzazione e di tutela allo scopo di poter fruire di quel luogo straordinario che fu Cales, cioè molto di più delle tracce, pur cospicue, che ha lasciato sul territorio: crogiolo di razze e di culture, incontro di genti e di stili,”Urbs egregia” (Strabone) e “Civica magna” (Cicerone), che attende ancora oggi la cura continua e attenta che tutti i nostri beni culturali meritano.