“I Vini di Indovino”: Il sommelier recensisce l’anima rossa dell’Abruzzo

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Montepulciano d’Abruzzo DOC, Vigneto di Popoli, Valle Reale, 2010

Ci troviamo a Popoli, in Contrada S. Calisto, tra le provincie di Pescara e L’Aquila.
È qui che è iniziata la storia dell’Azienda Agricola Valle Reale nel 1998.
Il contesto è quello di un enorme “polmone verde”, il più grande d’Europa. In questo punto, dove si incontrano il Parco Naz. del Gran Sasso, il Parco Naz. della Majella e quello Regionale Naturale del Sirente-Velino, la tradizione contadina della Famiglia Pizzolo è ben radicata da diverse generazioni.
Tutto è partito dal recupero di un vecchio vigneto di Montepulciano rinvenuto all’interno della proprietà che si trova nella vallata circondata dalle montagne, poco lontana dal paese di Popoli.
L’attenta osservazione dell’ambiente in cui era inserito il vigneto e, la passione per l’agricoltura, li ha spinti ad avviare uno studio approfondito sulle origini del Montepulciano d’Abruzzo.
La ricerca ha permesso di rintracciare le più antiche testimonianze del vitigno in alcune zone montane incontaminate, proprio nei pressi di Valle Reale.
È così che lo storico vigneto a pergola abruzzese, risalente al 1960, accudito e riavviato alla produzione, è divenuto il primo cru dell’azienda, il Vigneto San Calisto. Ma non solo: è di fatto anche “il padre” di tutte le vigne di Valle Reale. Dopo un attento lavoro di selezione delle piante, da esse sono state prelevate le gemme di Montepulciano di “montagna” successivamente innestate ed impiegate per i nuovi impianti.
Così ha preso forma il progetto agricolo ed agronomico di Valle Reale, che continua tutt’ora grazie al lavoro di un gruppo affiatato e motivato di persone.
In un paesaggio incontaminato come questo l’approccio in vigna, e di riflesso in cantina, non poteva che essere il più rispettoso possibile. Ciò che fa la differenza nel calice tra il percorso rigorosamente naturale e l’intervento della mano dell’uomo avviene in cantina.
Nella cantina di Valle Reale si lascia alla natura il compito di delineare il profilo organolettico dei vini, limitandosi ad accompagnarli lungo il percorso che li porterà all’affinamento in bottiglia.
Per l’Azienda questo è l’equilibrio, il sunto di osservazioni ed anni di esperimenti: il punto d’arrivo, ma quello di partenza di ogni vino, di ogni singola annata.
Vigna di Capestrano è il primo vigneto nel quale nel 2007 Valle Reale ha portato a termine la prima fermentazione spontanea: vinificata servendosi esclusivamente di lieviti indigeni, attendendo con rischio e pazienza.
Il perchè di questa vigna non’è stato un caso. Si tratta di una piccola parcella situata in corrispondenza di un piccolo stagno, ricco di vegetazione e confinante con i terreni di proprietà di un convento di Frati Francescani.
Furono proprio questi monaci a dar inizio alla produzione del Trebbiano a fermentazione spontanea a partire dal 1400.
Dopo numerosi studi sperimentali su selezioni di uve provenienti dalle diverse vigne è stata perfezionata la tecnica del “pied de cuve”: l’ultimo anello  che ha permesso all’incredibile biodiversità dell’ambiente incontaminato che circonda Valle Reale di esprimersi in tutta la sua ricchezza, “trasferendo” il territorio nei vini. I meriti vanno, oltre che alla passione ed alla lungimiranza della famiglia Pizzolo, alla preziosa collaborazione di figure professionali come Luciana Biondo, Giulio Vecchio e Enrico Antonioli.
Valle Reale oggi, a dispetto della vigna di Montepulciano di partenza, è un’Azienda che lavora su 46ha vitati di proprietà sotto la conduzione agronomica ed enologica di Emmanuel Merlo, con una produzione che varia sensibilmente tra le 100.000 e le 300.000 bottiglie  secondo annata.                                         Oggi parliamo del Montepulciano Vigneto di Popoli 2010.
Questo Montepulciano è figlio del vigneto omonimo, il più datato dell’azienda, situato nella parte più a sud della Valle Reale. Questa vigna di circa 25ha (dal suolo prettamente argilloso e calcareo) si estende, in parte, di fronte ai ruderi di una vecchia grotta del 1300 che i monaci del convento di San Benedetto a Perillis utilizzavano per vinificare e conservare i propri vini. La vinificazione spontanea delle uve, solitamente raccolte tra la fine di ottobre ed i primi di novembre, avviene in acciaio con una macerazione pellicolare che si si protrae per circa 10 giorni. Successivamente il vino viene elevato in tonneaux per un anno e lasciato a riposare in bottiglia per almeno 6 mesi prima della commercializzazione. Nel calice si presenta con una vivida e fitta veste granata. Al naso il primo impatto è scuro e terroso, corredato da profumi che ricordano la radice di liquirizia, il ginepro, la carruba e le foglie secche, per poi aprirsi su toni più ariosi, balsamici e di confettura di amarene. Il sorso è morbido e succoso, rinfrescato da una buona acidità e supportato da un’elegante e risoluta trama tannica, nonchè da una piacevole scia sapida. Pregevole la chiusura di bocca che completa il quadro con lunghi richiami in cui si ripetono coerentemente le note fruttate e terrose. Ho avuto modo di apprezzare questo vino in un ampio calice ad una temperatura di 16°C, dopo averlo stappato con un’oretta di anticipo ed averne apprezzato la sua escalation nel bicchiere. Per un servizio più rapido potrebbe essere opportuna anche una scaraffatura al solo fine di renderlo immediatamente fruibile.
Personalmente ritengo che possa essere il giusto accompagnamento di un Cosciotto di Agnello al forno con chips di Carciofi fritte.                                                                                                                                  Rubrica a cura di Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina.