
A rischio tante bontà che nascono da un’agricoltura millenaria apprezzata già dagli antichi romani
Le immagini del Vesuvio devastato da un incendio, definito dal sindaco di Terzigno, apocalittico, riempiono, in questi giorni, gli schermi dei telegiornali e gonfiano il cuore, di chi ama la Terra e la sua natura, di rabbia e indignazione. Delinquenti senza scrupoli, forse, a leggere Saviano, camorristi che fanno affari grazie alla violenza, distruzione e morte, hanno ferito gravemente il Gigante, la montagna, per molti aspetti, sacra per i partenopei e gli italiani che amano la bellezza e la natura di uno dei panorami più famosi e suggestivi dell’intero pianeta. E la sacralità di quei pendii è riferita non solo alla sua forza distruttiva che fa sentire gli uomini piccoli e impotenti; ma soprattutto alla sua forza rigeneratrice, alla sua capacità di regalare vita, di fecondare, con quello che esce dalle proprie viscere, una terra che restituisce bontà uniche. Bontà che raccontano di una particolare biodiversità e di un’agricoltura millenaria che è stata il cuore della Campania felix della Roma imperiale. Il paesaggio disegnato dalla macchia mediterranea con i suoi pini secolari, le sue erbe uniche e le ginestre, decantate da uno dei più grandi poeti di tutti i tempi, rischia di scomparire sotto i colpi di questi incendi che distruggono interi ecosistemi ed i suoi naturali abitanti, quali volpi, uccelli, piccoli mammiferi, roditori, ecc. Ma sotto i colpi di questa cieca violenza rischiano di finire anche tanti prodotti agricoli che negli ultimi decenni sono diventati il simbolo del territorio vesuviano che si sta riscattando anche grazie a queste bontà che costituiscono un paniere enogastronomico di gran pregio e qualità, a cominciare dalle uve. L’uva Caprettone, Coda di Volpe, Pere e Palummo, Catalanesca sono nomi che nel tempo hanno saputo farsi apprezzare nel mondo del vino che conta, anche a livello internazionale dove era noto solo il Lacryma Christi, altro figlio del Vesuvio.
Poi ci sono i prodotti degli orti disseminanti lungo i suoi fianchi che si estendono da Terzigno a Somma Vesuviana, passando per la parte alta dei comuni di Trecase, Boscotrecase, Torre Annunziata, Torre del Greco, Ercolano, San Sebastiano al Vesuvio e Pollena. Qui un’agricoltura tradizionale, frammentata e diffusa a livello familiare fa nascere piccoli tesori come i pomodorini del Piennolo. Pomodori di forma piccola che maturano sotto il sole di Napoli; ma che a differenza di altri hanno la caratteristica di conservarsi, naturalmente, senza aiuti chimici, per tutto l’inverno. Dando la possibilità di avere pomodori freschi tutto l’anno, tenendoli appesi (piennolo) nella cantina. Ma, il pomodorino vesuviano è tale se la sua coltivazione avviene secondo il rigido disciplinare della Dop. Poi ci sono le rinomate albicocche del Vesuvio, le crisommole, conosciute fin dai tempi dell’antica Roma. Ancora le pregiate ciliege del Monte Somma ed i tantissimi ortaggi (peperoni, melanzane, peperoncini verdi, scarola, broccoli, zucche) particolarmente gustosi grazie alla natura di questa terra tanto bella quanto generosa.