Carni lavorate e carni rosse rappresentano un pericolo reale?

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Tutti, in queste settimane, siamo stati bersagliati da un mare di notizie, per lo più disorganizzate e riduttive, riguardanti il consumo della carne rossa. In realtà bisognerebbe affrontare l’argomento con uno sguardo più ampio, perché tutto ciò che riguarda la nostra alimentazione ha un impatto, oltre che sull’economia e sulle aziende del settore, anche sulla salute.

Tutto è partito da una relazione dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), che riguarda l’analisi effettuata da 22 scienziati di 10 paesi diversi su 800 studi epidemiologici in cui è stata valutata l’associazione tra il cancro ed il consumo di carne lavorata e di carne rossa.

La carne bruciacchiata, quando ingerita induce la produzione di sostanze tossiche.
La carne bruciacchiata, quando ingerita induce la produzione di sostanze tossiche.

Qual è la differenza tra i due tipi di carne?

Per carne rossa intendiamo carne di manzo, maiale, vitello, montone e capra, mentre nella carne lavorata includiamo un sottogruppo contenente tutte quelle carni soggette ad una lavorazione -salatura, affumicatura, polimerizzazione- come  salame, prosciutto, pancetta e simili.

Ebbene, dagli studi effettuati è risultata, sulla base di sufficienti evidenze scientifiche, una associazione tra il cancro del colon-retto ed il consumo di carne processata ed una limitata evidenza scientifica circa l’associazione tra il cancro allo stomaco ed il consumo di carne rossa. Questa seconda evidenza rimane in gran parte da dimostrare e sembra essere dovuta soprattutto al tipo di cottura a cui viene sottoposto l’alimento -braci e fritture sono i principali indiziati-. Le maggiori preoccupazioni sono sorte riguardo al consumo di carni processate, soprattutto in Italia, visto che il cancro al colon-retto rappresenta il più frequente nella nostra popolazione (14% del totale), anche se al Sud la percentuale è leggermente più bassa.

L'incidenza più elevata in Italia del cancro del cono è dovuta in parte al maggior numero di anziani.
L’incidenza più elevata in Italia del cancro del cono è dovuta in parte al maggior numero di anziani.

Questo tipo di carne è stata inserita nel gruppo 1 nell’ambito della classificazione degli elementi cancerogeni effettuata dalla IARC. Sebbene molti articoli di testate generaliste abbiano sottolineato che in questa categoria sono inclusi anche agenti ben conosciuti e temuti come il fumo di tabacco, il consumo di alcol e l’inquinamento atmosferico, ciò non vuol dire assolutamente che tutti questi composti siano cancerogeni allo stesso modo. Difatti il Progetto sul Peso Globale delle Malattie ha evidenziato che le diete ricche in carni processate sono la causa di soli 34.000 casi annui di cancro nel mondo, rispetto ai 200.000 casi dovuti all’inquinamento ambientale, ai 600.000 dovuti all’alcol ed al milione di casi dovuti al fumo di tabacco.

Le varie fasi del cancro al colon.
Le varie fasi del cancro al colon.

Volendo fare un esempio pratico ed immediato potremmo dire che una persona che non ha familiarità per il cancro, non fuma, non mangia in modo scorretto ed in eccesso e pratica esercizio fisico, mangiando 50 grammi di prosciutto od altri salumi al giorno (una dose abbastanza elevata) aumenterà in totale del 18% il rischio di ammalarsi di cancro. Questa percentuale può sembrare alta, ma in realtà rappresenta solo un rischio relativo, che va valutato a partire dal rischio di base. Il rischio di base in questo soggetto è però molto basso, per via dei tanti fattori protettivi, come lo svolgimento di attività fisica, che lo contraddistinguono e quindi possiamo affermare che un tale soggetto non ha seri motivi per preoccuparsi.

La IARC invita difatti solo a ridurre il consumo di carni rosse a una dose settimanale massima di 500 grammi, cercando di limitare ulteriormente l’assunzione di carni che hanno subito salatura ed altri processi industriali. I valori devono essere ulteriormente ridotti, sotto valutazione e consiglio del proprio medico, in quegli individui che soffrono di patologie cardiovascolari, di obesità e di varie altre affezioni.  Dunque, chi segue normalmente la cosiddetta dieta mediterranea non ha motivo di cambiare abitudini alimentari, mentre la ricerca può essere letta soprattutto come un invito a chi abusa di tali alimenti a rientrare in un range tale da non far diventare la propria alimentazione un rischio per la salute.

La stessa IARC sottolinea nel proprio report come questa ricerca non indirizzi in alcun modo verso uno stile di vita vegetariano, anche perché nessuno studio scientifico ha mai comparato l’incidenza di eventi tumorali in gruppi di onnivori ed in gruppi di vegetariani, soprattutto a causa della difficoltà nell’effettuare un tale tipo di ricerca.

Per di più bisogna considerare che il cancro è una malattia multifattoriale, ovvero ha molteplici concause –fattori genetici, qualità dell’aria respirata, alimentazione, esposizione ai raggi UV, fumo e tantissimi altri-  che vanno a generare alterazioni a livello del DNA e del metabolismo della cellula e non può essere assolutamente visto come l’effetto di una singola abitudine. In definitiva  bisogna sempre equilibrare la propria dieta e renderla varia per evitare di renderla un nemico potente, senza demonizzare alcun tipo di alimento.