Due chiacchiere con Viola Scotto di Santolo, autrice de: “Il verso della rana”

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“Sappiamo tutto di lei. Tranne il suo nome. Lei è invisibile. Grande e invisibile come il vento. Spettatrice silenziosa del traffico umano. La sua storia è quella di una donna obesa ingozzata di disamore, una storia che affoga tutta nel pantano dell’indifferenza, in cui si annidano viscidi segreti e misteri che dovranno essere svelati.Struggimenti e catastrofi scandiscono il tempo malinconico della sua adolescenza, finché non succede qualcosa che cambia tutto. Tutto. O niente. Un incontro. Con lui, che la guarda, la vede e la salva. E lei se ne innamora, ama, col suo cuore spezzato; riempie il suo stomaco col desiderio e con l’amore. Tradisce il cibo, illudendosi anche questa volta di poter essere amata. Ma lui nasconde un segreto, profondo e oscuro come i pozzi, alla cui origine c’è proprio lei. Nessuno lo conosce. Nessuno. Neanche lei. Solo il lettore potrà comprenderlo”

Si chiama “il verso della rana”, ed è il primo romanzo di Viola Scotto di Santolo.

Viola, nata a Napoli nel 1991, è giornalista e vive a Monte di Procida. Ha collaborato con diversi giornali nelle sezioni di cronaca, costume e cultura. Laureatasi nel 2013, ha realizzato una brillante tesi di critica sul rapporto tra la letteratura e la camorra stabilendo contatti con i maggiori scrittori napoletani.

Abbiamo fatto due chiacchiere con l’autrice:

  • quale è stato il percorso che ti ha portato a scrivere il tuo libro?

Una mattina sono salita sulla bilancia e pesavo 102 chili. 102. Pesavo 102 chili. Mi pare che non ho sofferto molto a vedere quel numero, per me i numeri hanno contato sempre molto poco, la matematica al Liceo la studiavo male. E odiavo le circonferenze. (Credo ció sia molto ironico). Comunque mi ricordo che a quel tempo avevo sempre una faccia molto di cazzo, insofferente, antipatica, e tuttavia molto amata, una faccia da ebete impermeabile a qualsiasi catastrofe. Perciò quella mattina non ho fatto molto caso a quelle tre cifre. 102. Avevo vent’anni quella mattina. Era la Primavera del 2011. E pesavo 102 chili. Nessun problema, per me. A ora di pranzo ci mettemmo a tavola. Mi ricordo che eravamo io, mia madre, mio fratello, appena tornato dal suo ultimo imbarco e secco come un chiodo e mia cognata, bellissima e bionda e secca come un chiodo pure lei pur non essendo tornata da nessun imbarco. Mangiai come sempre, come un lupo dopo il digiuno, mangiai senza tregua, senza respirare. Mangiavo sempre così a quel tempo. Mi ingegnavo in un modo geniale pur di mangiare tutte le mie abominevoli schifezze. Ho fatto cose che forse la giurisprudenza moderna classifica come reati. Mi ricordo che mio fratello era molto perplesso. Comunque, dopo pranzo passammo a discutere e le nostre discussioni a casa erano molto feroci, e lo sono ancora, discutevamo di politica, di filosofia, di storia, di guerre, della Germania, di cose piccolissime e pure grandissime con la stessa foga, con le stesse guance rosse, a volte litigavamo, gridavamo cose spiacevoli e stupide e a un tratto ridevamo, oppure ci lasciavamo con dei musi lunghi, lunghissimi e storti. Insomma quando discutevamo ci facevamo male. Quel giorno non parlammo della Germania. Quel giorno l’argomento ero io. Stavo seduta sul bracciolo del divano e avevo la mia solita faccia da scema. Non te lo racconto che cosa è successo dopo. Vorrei avere inghiottito anche quel ricordo insieme alle altre cose. E invece i ricordi, quelli più amari, lo stomaco li rigetta. Te li devi tenere in testa, ti dice. Comunque, per fartela breve, dopo qualche tempo mia mamma mi portó in un posto, e io parlai con una psicologa, la quale mi disse di tenere un diario alimentare. Mi disse di scriverci tutto quello che mi entrava in bocca e tutti i sapori che mi strisciavano sulla lingua, senza tradirne nessuno e mi disse di scrivere nell’ultima colonna, dopo gli orari, le portate, i grammi, quello che provavo. Quello che provavo. – “Così arriverai al tuo perche”. Mi disse. Ma io non ho mai scritto colonne. Non sono fatta per le cose strette. Invece di quell’ultima colonna, io ho scritto un romanzo. Ero un’obesa alla ricerca del suo perché. Ho scritto la storia di un’obesa alla ricerca del suo perché.

  • ora che né tu, né la protagonista del tuo libro siete più obese, hai ancora voglia di scrivere? di cosa scriverai?

Io scrivo da quando avevo sei anni. L’obesità non c’entra niente. Una volta la maestra ci disse di descrivere qualcosa che ci stava a cuore. I miei compagni descrissero il loro migliore amico, o il loro cane, o la loro mamma. Io mi ricordo che descrissi due mani. Erano le mani di una donna. Tutta una pagina solo a parlare di due mani. La maestra lesse il mio tema e mi guardó. È da allora che scrivo. L’obesità non l’avevo neanche mai cercata sul dizionario. Quindi, che sia grassa o che sia magra, io avrò sempre voglia di scrivere. Anche perché io mica scrivo per me. Io sono altruista. Io scrivo per gli altri. Per insegnare loro a conoscermi e ad amarmi. Ora sto già scrivendo un nuovo romanzo. Sarà la storia di un’amicizia. A volte l’amicizia può essere più struggente dell’amore.