Campi Flegrei, l’anima ardente di un popolo

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Campi Flegrei, nuova tappa del viaggio in Campania. Da dove cominciare? Dalla natura ricchissima e spaventosa dei luoghi? Dai miti che qui sono stati inventati dagli antichi popoli che l’abitarono? Dalla storia, che a partire dalla preistoria e fino ai giorni nostri, prende le sembianze di un’ininterrotta sequela di articolati e ricchi eventi umani e/o naturali? È davvero difficile scegliere, privilegiare l’uno o l’altro aspetto non renderebbe la realtà in tutte le sue molteplici sfaccettature, per cui cercherò di raccontarle insieme. Questa terra fu oggetto di attenzioni in tutte le epoche, conquistata da tanti popoli, fatta meta del Grand Tour dai primi turisti europei della storia (detti così proprio per il “tour” che avevano inaugurato).                 Il risultato è un patchwork di culture, popoli, lingue, stili architettonici così intrecciati e compenetrati l’uno nell’altro da renderne difficile il riconoscimento e da fare orrore ai cultori della “purezza” della razza: i vari Bossi-Salvini-Borghezio non ne potrebbero mai comprendere l’intrinseca, straordinaria bellezza, che è data proprio dalla sua natura estremamente composita.

Si può coglierla globalmente solo attraverso una percezione visiva, anche se in maniera sincretica e giustapposta.

Intanto il luogo di cui trattiamo dal punto di vista geologico è un’area di sprofondamento tettonico o, meglio, l’area di una vasta caldera vulcanica che trova ragion d’essere fenomeno di rotazione della penisola italiana e di apertura del Mar Tirreno, conseguente al movimento della placca africana che si incunea sotto quella europea, provocando la risalita del magma sottostante.  I fatti sono considerevoli, e fortuna che  il megavulcano è  in quiescenza, contrassegnato solo da fenomeni di emissioni gassose (Monte Nuovo, litorale subacqueo), fumarole di anidride solforosa e getti di fango bollente (Solfatara), movimenti bradisismici (area di Pozzuoli), sorgenti idrotermali (Agnano, Lucrino, Pozzuoli).

Qui si ritrovano concentrati, in un’area di che va dai 12 ai 15 chilometri, circa quaranta domi eruttivi che nel complesso hanno una lunghissima storia geologica: l’eruzione più importante sembra essere stata quella dell’Ignimbrite Campana o Tufo Grigio (circa 39-35 mila anni fa, potentissima, i cui prodotti eruttivi sono arrivati perfino nei ghiacci della Groenlandia!), seguita da quella del Tufo Giallo Napoletano (12-15 mila anni fa) e da moltissime altre, di cui l’ultima (1538) diede origine alla nascita di un rilievo chiamato Monte Nuovo.

L’area vulcanica in questione va da Cuma a Posillipo, passando per il promontorio di Monte di Procida, Capo Miseno, Bacoli, Arco Felice, Pozzuoli, Bagnoli, Nisida. Luoghi che contrassegnano un lembo della costa campana, dove elevato rischio vulcanico, cementificazione e incuria non riescono a sopprimerne una bellezza che lascia chiunque senza fiato.

La presenza di numerosi laghi d’origine vulcanica (lago d’Averno) o lagune costiere retrodunali (Fusaro, Lucrino, Miseno), di pianure (Quarto, Soccavo), di rilievi quali Monte di Cuma, Monte Barbaro, Monte Nuovo, Monte Olibano, Monte Sant’Angelo,  ospitano una ricca vegetazione: pinete, castagneti o lecceti, zone di macchia mediterranea con mirto, rosmarino, ginepro, cisto, ginestra, gariga. Curioso il fenomeno dell’ “inversione vegetazionale”, per cui il clima appare più fresco al fondo dei crateri che sulle pendici: è il motivo per cui si possono trovare specie quali castagni, querce e olmi sotto e la macchia mediterranea in alto. Laghi e rilievi costieri, oltre ad ospitare  le fragmites (cannuccia di palude), sono riferimenti importanti per gli uccelli migratori (gheppio, rigogolo, cormorano, svasso, beccaccia e i rari porciglione e falco pellegrino). Il fascino dei luoghi è accresciuto dal grandissimo valore della biodiversità  propria del  rigoglioso ambiente naturalistico in cui si alternano paesaggi diversi con boschi, specie arbustive e essenze odorose, che unite all’avifauna ricordano l’antica Selva detta Gallinaria proprio per la presenza marcata di uccelli (in particolare la Gallinella d’acqua).

In questo luogo vi è una concentrazione di zone di alto valore biologico e naturale (Capo Miseno), oasi naturalistiche (Cratere degli Astroni, oasi del Monte Gauro e del Monte Nuovo), aree umide, come quelle del Cratere di Agnano, aree di riserva marina protetta  (i Parchi sommersi della Gaiola e di Baia) e molto, molto altro.

La costa è particolarmente diversificata: il litorale di Cuma e della marina del Fusaro è caratterizzato da una costa bassa (e, purtroppo, molto antropizzata) a sud, alla quale si contrappone una costa alta e frastagliata, con pareti ripide e ampie insenature presso Monte di Procida, Bacoli, Baia e Posillipo.

La mitologia, come pure la vulcanologia e l’archeologia, pare particolarmente connaturata a questi luoghi, per cui sono stati di volta in volta sepoltura dei Giganti uccisi da Zeus o sede della famosa Sibilla, l’ oracolo potentissimo, i cui libri sibillini erano tenuti in enorme considerazione dai sacerdoti romani. L’ Officina di Efesto era la Solfatara mentre la striscia di terra che separa il lago Lucrino dal mare era stata realizzata da Ercole per far passare la mandria dei buoi di Gerione. Presso il lago d’Averno, invece, erano i mitici Cimmeri, che abitavano case sotterranee.

Porte degli Inferi, sede dell’Oracolo dei Morti: l’Averno era un lago ritenuto inquietante, dal quale accedere all’Ade, mentre le acque di Miseno sarebbero state identificate con la Palude Stigia, sulle cui rive i morti attendevano Caronte, ma anche luogo di Sepoltura di Baios (nocchiero di Ulisse) e di Miseno (trombettiere dell’armata troiana).

Insomma il turismo verso i Campi Flegrei come si è capito quindi, può seguire diversi percorsi, di cui quelli naturalistici già segnalati (laghi vari, oasi naturalistiche, zone marine protette, Solfatara) sono sicuramente straordinari. Non poteva mancare il turismo termale, che può dirigersi verso le Terme di Agnano, quelle Puteolane o verso Lucrino, con le famose Stufe di Nerone.

Il turismo culturale, poi,  la fa certamente da padrone. Svetta per l’importanza dei resti archeologici sommersi Baia, luogo prediletto per gli ozi degli antichi romani, che qui costruirono lussuosissime Ville (come quella di Lucio Pisone, suocero di Giulio Cesare) e un grande complesso di edifici costruiti su terrazzamenti degradati verso il mare, forse destinati a residenza imperiale. Belli gli impianti termali, le cui monumentali sale, impropriamente definite Templi, sono detti di Mercurio, Sosandra, Venere, Diana. Dei tanti ritrovamenti sommersi bellissimo è il Ninfeo di Punta Epitaffio, che si può ammirare, ricostruito, nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei, ospitato nel Castello Aragonese di Baia (la cui conoscenza faremo la prossima settimana).

Ma Pozzuoli non è certo seconda a Baia. Fondata nel 531 a.C. da Greci profughi di Samo, per sfuggire alla tirannia, con il nome di Dicearchia (città del Giusto Governo) e l’autorizzazione dei Cumani, i potenti vicini. Di quel periodo purtroppo non vi sono riscontri archeologici. Pozzuoli ha ritrovamenti interessantissimi d’epoca romana, a partire da quelli effettuati al di sotto del Rione Terra, abbandonato per il bradisismo negli anni ’80. Inoltre particolarmente ricco è il Macellum (impropriamente detto Tempio di Serapide), che documenta, con la presenza dei  fori causati dai litodomi, l’antico fenomeno del bradisismo e, quindi,lo sprofondamento dell’edifico e la risalita del mare. Conservati sono anche il Tempio di Augusto,  edifici termali, necropoli e strade romane, due Anfiteatri, di cui quello Flavio è il terzo in Italia per grandezza e lo Stadio ellittico di Antonino Pio, che è l’unico esempio ancora visibile in Italia.  Di Miseno, originatosi dall’omonimo antico villaggio militare, sede della flotta imperiale romana, si è ricostruito, sempre nel Museo Archeologico, il Sacello degli Augustali

Sempre a Miseno si trova la Piscina Mirabilis, la maggiore cisterna d’acqua mai realizzata dai romani, alta 15 metri, lunga 72 e larga 25 metri, sostenuta da ben 48 pilastri cruciformi, che formano 5 navate. L’acqua che qui giungeva dopo aver viaggiato per oltre 100 chilometri, proveniva dalla sorgenti del Serino, nell’avellinese.

Tra Baia e Miseno, poi, sorge Bacoli (la Bauli romana), che assume particolare interesse per il complesso di Cento Camerelle, insieme di cisterne del I secolo a. C. Nei dintorni sorgerebbe il sepolcro di Agrippina, madre uccisa dai sicari del figlio Nerone, secondo la leggenda il fantasma di Agrippina si potrebbe scorgere nelle notti di luna. Nei pressi vi è il lago Fusaro, con il Casino Reale settecentesco, unito da un ponte alla terraferma.

Dopo il Fusaro si apre il panorama dell’antica città di Cuma, la prima colonia della Magna Grecia d’occidente, fondata dagli eubei Ippocle e Megastene intorno al 740 a.C., con la sua Acropoli, il Foro di epoca romana, i Templi di Apollo e Zeus, l’Antro della Sibilla (che in realtà è una galleria di collegamento fra il Lago d’Averno e quello di Lucrino). L’Arco Felice, attraverso il quale si entra in città, costruito dai Romani con il taglio della collina era stato realizzato per poter entrare a Cuma dalla Domiziana. Analogamente anche la Montagna Spaccata è stata tagliata dai Romani per entrare nella città di Quarto.

Farne un Parco Archeologico autonomo è la cosa più intelligente che si possa fare, sempre che il Parco funzioni per davvero e faccia superare le criticità, che pure sono tante: consumo elevato di suolo per insediamenti, scarsa qualità dell’ambiente urbano, congestione del traffico, inquinamento. Ma questi elementi non riescono ad oscurare le bellezze e straordinarietà di questa terra. Certo i Campi Flegrei non sono il paradiso terrestre, ma quando penso a un paradiso, personalmente lo immagino proprio così.