Il dopofestival De Martino: suggestioni e affetti

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Mercoledì 20 aprile, l’università Federico II nella sede dell’Accademia Pontaniana ha dedicato l’intera giornata al napoletano Ernesto de Martino, figura di quelle che fanno parte della storia della cultura più che di quella di un preciso ambito di studi. Basta vedere le molteplici prospettive da cui il suo pensiero permette di essere analizzato: politica, antropologica ed etnologica, teoretica ed esistenzialista, psicoanalitica, esoterica. All’insegna della caldaia di tutte le manifestazioni che si agitano nel sottosuolo dell’animo umano: “Tentiamo di conoscere la nostra anima sorprendendoci per quando eravamo ancora maghi”, ecco il senso di scoperta che ha involto tutti, attraverso una parafrasi de Il mondo magico (1948).

Presenti moltissimi studenti. Oltre ai contenuti veri e propri, ciò che ha fatto rimanere tutti attenti fino alla fine è stata l’aria di famiglia, quella che condividono persone riunite per una speranza di Progresso, lo stesso motivo per cui i philosophes dell’Illuminismo si ritrovavano nei circoli, si scrivevano una mole di lettere, la stella polare per cui pensarono all’Encyclopédie: plasmare l’appartenenza a uno Spirito comune che riguarda il l’agire, far lavorare la cultura nelle menti, non un sapere in senso astratto e astorico. De Martino poi era un fervente sostenitore dei giovani, lo testimonia la sua attività scolastica e universitaria: avrebbe sicuramente sostenuto la definizione di Thomas Mann, che parlava di “Die fiebrigen Jugend”, la gioventù febbrile.

L’importante è la messa in opera dell’eredità di un grande personaggio. Il metodo etnologico introdotto da De Martino spiega che un antropologo non può non lavorare sul campo con “documenti etnografici” che facciano da traccia a precise problematiche con cui deve già partire: non si tratta della trascrizione da parte dell’avventuriero dei costumi di un popolo o peggio del filosofo/filologo a tavolino. Che ci dice oggi tutto ciò? Che l’Etnologia è  portatrice del nuovo Umanesimo: la configurazione dell’esperienza aliena ci aiuta a capire che cosa della nostra cultura dobbiamo salvare rispetto all’Altro. Perché non scordiamoci- come ha sottolineato il Professor Petrarca- che il problema dell’ethnos sono stati per primi gli occidentali a porlo con le colonizzazioni.

Gli studenti si sono sentiti a tu per tu con i professori, non solo per il buffet comune, ma perché abbiamo condiviso quell’esperienza etico-religiosa della vita civile che De Martino citava:-“ Cerco di servire Iddio nel modo migliore”, cioè un Ideale, un assoluto in senso filosofico. E non si può essere tacciati di parzialità se è chiaro- come ha affermato il Professor Conte- che a spingere le inchieste meridionalistiche di De Martino sono stati i bollori politici del comunismo: oltre l’indagine, lo infiammava la partecipazione all’emancipazione di quei territori, inquadrandone lo spirito e le radici delle miserie.

In fondo, si è attuato ancora una volta l’ethos del trascendimento di cui De Martino parla ne Il mondo magico: la capacità di superare una crisi, tipica di tutti i popoli ma soprattutto dell’europeo, che ha destato la filosofia, l’analisi dell’altro, il pensiero critico… Nei tempi difficili in cui viviamo oggi e in quelli tragici del nazismo e del dopoguerra in cui De Martino scriveva, egli non rinuncia all’idea di Europa come fortezza, vista dall’etnocentrismo critico, rifiutando il relativismo culturale. Ben conscio che la crisi della civiltà– come la crisi dell’individuo- è sempre dietro l’angolo, è in quei momenti che l’identità è da ricreare e ristabilire. Alla luce del diverso.