Il Referendum passo per passo: info utili per chi vuole votare o pensa di astenersi

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referendum

«Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?»

ANTEFATTO. Oggi in Italia non si possono ottenere permessi di ricerca o prospezione né concessioni di coltivazione di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa (acque territoriali, oltre sono internazionali). Eppure in quelle aree off limits alcune società continuano le loro attività. Lo consente il comma 239 dell’articolo 1 della legge di Stabilità (del 28 dicembre scorso) che permette a chi ha già ottenuto una concessione di rinnovarla continuando l’attività ‘per la durata di vita utile del giacimento’. Se prima le concessioni di coltivazione avevano una durata di 30 anni (prorogabile per periodi di 10 e 5 anni) e i permessi di ricerca di 6 anni (anche questi prorogabili), la legge di Stabilità ha decretato che i titoli già rilasciati non abbiano più scadenza.

Qual è il significato del referendum? Il referendum per essere valido deve raggiungere il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto. Votando sì gli italiani cassano la norma secondo cui le concessioni già rilasciate alle società petrolifere potranno essere rinnovate, votando no la norma rimane tale e si va avanti fino all’esaurimento di dette risorse. Ad oggi si trivella fino a quando c’è gas o petrolio, anche se la concessione è in realtà scaduta.

E’ fondata la dicerìa comune “è inutile andare a votare”? E’ vero, vi sono stati referendum disattesi, ma questo rimane un fondamentale strumento attraverso cui il popolo esprime direttamente la propria volontà. E’ importante sapere che per legge, il legislatore all’indomani dell’esito referendario è ORIENTATO ad agire nella direzione indicata dalla consultazione, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, ciò vuol dire che la nuova norma dovrà essere formulata nel rispetto della volontà popolare, ma potrà vedere diversi tipi di soluzione. E’ evidente, tuttavia, che l’onere di far raggiungere il quorum è soprattutto dei sostenitori del sì. Chi non vuole l’abrogazione della norma ha fondamentalmente due strade: il no e l’astensione per non far raggiungere il quorum.

Che cos’è attualmente una concessione? E’ un provvedimento unilaterale di una pubblica amministrazione che decide di affidare ad un soggetto (concessionarie, ad esempio l’Eni) diritti di esclusiva circa l’uso di beni pubblici.

Come si comporta l’andamento della produzione di petrolio in Italia? Dismettere un impianto comporta costi altissimi per le società concessionarie, che quindi puntano a estrarre il minimo indispensabile per il maggior arco di tempo possibile. Questo modus operandi, inoltre, ha anche un’altra spiegazione, tutta economica: le franchigie. Le società petrolifere, infatti, non pagano le royalties (percentuali sugli utili) allo Stato se producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di 50mila in mare, ma rivendono tutto a prezzo pieno. E se si superano le soglie, ecco che scatta un’ulteriore detrazione di circa 40 euro a tonnellata. Morale: il 7% delle royalties viene pagato solo dopo le prime 50mila tonnellate di greggio estratto e neppure per intero. “Sistema comodo per le società, che possono mantenere in vita impianti da cui producono quantità modeste di petrolio”, spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Boraschi, responsabile della Campagna Energia e Clima di Greenpeace. “Smantellare costa di più – aggiunge – meglio continuare a produrre anche poco, sotto la soglia della franchigia, senza pagare le royalties”. In Italia, inoltre, sono esentate dal pagamento le produzioni in regime di permesso di ricerca. Ecco perché per chi estrae è fondamentale quella “durata di vita utile del giacimento“.

Le trivellazioni avvengono secondo sicurezza?

Per chi sostiene il NO:-“ Basta visitare una piattaforma o assistere al processo di perforazione per rendersi conto del livello di rispetto ambientale garantito con le tecnologie sviluppate dalle aziende. Nulla viene scaricato a mare, ma trattato e riportato a terra in discariche specializzate. I sistemi di trattamento delle acque consentono spesso la loro piena potabilità. In California, in seguito al totale sfruttamento dei giacimenti petroliferi, bisognava smantellare le piattaforme. Ed è proprio il movimento ambientalista a chiedere di lasciare lì le piattaforme divenute ormai un tutt’uno con l’ecosistema marino e punto di ripopolazione della fauna”.

Per il SI:-“ I petrolieri estraggono fonti inquinanti nei nostri mari e nessuno controlla. E’ palese la discrepanza tra il numero di impianti segnalati nei documenti messi a disposizione dal Ministero dell’Ambiente, relativi a 34 piattaforme, e le 135 presenti entro le 12 miglia dalle coste italiane secondo il MiSE. Si segnala la mancanza di monitoraggio per le piattaforme che non re-iniettano le acque di produzione.” A questo proposito Greenpeace cita il caso Edison: in base ai dati forniti da ISPRA nelle acque illegamente smaltite vi sarebbero metalli tossici, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e MTBE, 500 mila metri cubi di acque di strato, di lavaggio e di sentina sarebbero state iniettate illegalmente nel pozzo Vega 6, del campo oli Vega della Edison, al largo delle coste di Pozzallo.

Quali sono le conseguenze attuali delle trivellazioni?

Secondo alcuni incidono sul fenomeno della subsidenza, l’abbassamento delle zone costiere dovuto all’emungimento di ciò che si trova nel sottosuolo. Secondo Greenpace anche durante l’esercizio normale delle trivelle qualche impatto sull’ecosistema marino lo si trova e si tratta in massima parte dell’accumulo di metalli pesanti che possono, come il mercurio, entrate facilmente nella catena alimentare.

Il fronte del NO ribatte:-“ Dal settore ricerca e produzione di idrocarburi si sono solo avuti benefici importanti, fino a giungere alla simbiosi fra piattaforme di produzione di gas naturale e la coltivazione di cozze con il ripopolamento della fauna ittica. Sulla subsidenza sono stati effettuati studi approfonditi a altamente scientifici, con la creazione di modelli elaborati da università e centri di ricerca. La subsidenza riguarda tutta la fascia appenninica con un costante spostamento verso Est, che porterà fra un milione di anni alla scomparsa del Mare Adriatico”.

Secondo Greenpace  le società che estraggono escludono il rischio di incidenti in mare, ma questa possibilità non può essere messa da parte: il metano è volatile e si disperderebbe in atmosfera, con conseguenze gravi sul fronte dei cambiamenti climatici visto che è un potente gas serra che ha un effetto sui cambiamenti climatici trenta volte maggiore rispetto all’anidride carbonica. L’effetto dello sversamento in mare di petrolio a seguito di un incidente, invece, dipende molto dalla quantità, dalla profondità del mare, dalla correnti e da altri fattori. Ma un evento del genere a 12 miglia dalle nostre coste in un mare semichiuso come il Mediterraneo, dove il ricambio d’acqua dallo stretto di Gibilterra è di circa 80 anni, sarebbe irreparabile

Il governo argomenta: “Votando sì la stessa quantità di idrocarburi saremmo costretti a importarla da altri paesi.”

Il SI:- “Dire che l’Italia è ricca di idrocarburi è come dire che il nostro è il paese degli elefanti perché ce ne sono due allo zoo di Pistoia e altri tre o quattro sparsi per i circhi. Per il gas non si capisce bene di cosa stiamo parlando: quasi tutto quello importato arriva in Italia attraverso 5 metanodotti e solo per il 7% con navi metaniere sotto forma di gas liquefatto. Inoltre, la minore produzione di gas, che è pari ad appena il 3% del fabbisogno nazionale, potrebbe essere compensata puntando su rinnovabili ed efficienza energetica. Si potrebbero recuperare così i 60mila posti di lavoro persi dal 2013 a oggi, dando uno scossone al Pil.”

Il NO: “La fermata della produzione di gas e petrolio nazionale comporta la piena sostituzione con volumi equivalenti importati dall’estero. Bisognerà pagare in valuta e trasportare gli idrocarburi con petroliere e con gasiere di Lng (ma poi nessuno vuole I rigassificatori!). Storicamente i grandi inquinamenti a mare sono avvenuti nella fase del trasporto. Quindi il cambiamento farà aumentare i rischi. A meno che venga proposta per legge una riduzione dei consumi petroliferi, il che vuol dire ridurre drasticamente i trasporti (aerei, auto, camion, traghetti, navi, moto), limitare le produzioni delle aziende metalmeccaniche e rinunciare a coprire manto stradale e autostradale con gli asfalti di alta qualità prodotti dall’industria italiana”

E’ vero il dato della perdita dei posti di lavoro?

Per il fronte del SI:-“ Sulla questione disoccupazione si fa terrorismo mediatico: il tempo in cui ancora le trivelle continueranno a funzionare sarà utile per riqualificare il settore.

Per il fronte del NO:-“Bloccherebbe il motore che ha finora consentito alle aziende di investire in Italia. Il fenomeno sta già verificandosi a Ravenna e in Adriatico.”

Una soluzione prospettabile.

Secondo Greenpace il vero grande giacimento italiano da sfruttare non è sotto i nostri mari, ma nei territori, e nella valorizzazione del biogas e del biometano prodotti da discariche e scarti agricoli, una soluzione che verrebbe tuttavia ostacolata dal Governo mediante scelte energetiche a sostegno delle fonti fossili. Le trivelle sono state un buon affare per l’Italia nel periodo del boom economico, Enrico Mattei ebbe intuizioni geniali, ma oggi si proietterebbe verso il futuro. Con le riserve certe di idrocarburi stimate dal Mise potremmo far fronte alla domanda interna di petrolio per appena 7 settimane e di gas per 6 mesi, determinando ricadute negative sul turismo (10% del Pil e 3 milioni di occupati), la pesca (2,5% del Pil e 350mila occupati) e il settore agroalimentare (8,7% del Pil 3,3 milioni di occupati). Per il no:-“ Ad oggi, l’industria petrolifera finanzia le sue attività e si assume tutti i rischi economici della ricerca senza alcun aiuto degli Stati. Paga regolarmente le royalties e le tasse, contribuendo al benessere collettivo. Non è il caso delle rinnovabili, che hanno bisogno di costanti e importanti finanziamenti pubblici, pagati dai cittadini attraverso le bollette dell’elettricità o con la tassazione diretta. Con il livello della ricerca raggiunta ad oggi, sarebbe impossibile sostituire gli idrocarburi con fonti rinnovabili. A meno che si decida di fermare il Paese per qualche decennio. No aerei, no tir, no autovetture. Per circa 30 anni.”

Siti utili

Per il sì: http://www.greenstyle.it/storie/trivellazioni

Per il no: http://www.iovotono.it/