All’ospedale Cardarelli il Percorso Rosa al Pronto Soccorso, uno sportello contro la violenza : parla la ginecologa

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L’Associazione Salute Donna (http://www.associazionesalutedonna.it/) è un pool di donne (aperto a nuovi arrivi) composto da ricercatrici, medico, psicologhe e avvocate esperte in tematiche cliniche e legali collegate agli eventi stressanti della vita quotidiana femminile, con particolare riferimento alle principali condizioni di rischio per la salute: violenza, stalking e maltrattamenti, ambiente e lavoro e condizioni di salute, con riferimento anche alla violenza verso i minori. Abbiamo intervistato la ginecologa Maria Luisa Porzio per analizzare la situazione di violenza in Italia alla luce dei recenti fatti di cronaca.

60 casi di femminicidio solo in Italia dall’inizio del 2016. Come riconoscere una vittima e un carnefice?        Il femminicidio è solo la punta dell’iceberg della violenza sulle donne. I dati indicano che ci sono stati più casi di femminicidio negli ultimi 15 anni che morti vittime di camorra e che la violenza crea più vittime del cancro. Una vera e propria strage, che non va dimenticata, anche perché , nella maggioranza dei casi, la vittima conosceva il proprio carnefice, essendo il partner o l’ex partner, e costui aveva già mandato segnali importanti di rischio per la vita della donna o dei minori, ma questi segnali erano stati sottostimati. Parliamo di rischio perché c’è un’escalation della violenza che, quando esplode o sta per esplodere, esprime segnali individuabili in scale ben definite, i quali, per gli addetti ai lavori, sono indicativi di allarme o preallarme . Ci sono, a proposito, studi internazionali in merito e score (punteggi per la valutazione del rischio) che vengono utilizzati anche dalle Forze dell’Ordine, in Inghilterra e in America, e la letteratura, al proposito è molto ricca di test che elencano le varie azioni che il soggetto violento mette in atto, di volta in volta, verso la vittima. Anche noi, nei centri antiviolenza, utilizziamo appositi test da sottoporre alle donne che si presentano per l’ascolto, al fine di individuarne il livello di rischio. Il problema è che, spesso, questi segnali sono sottovalutati e tutto cio’ che è violenza viene coperto, vuoi per paura o per vergogna, dal silenzio. Al di là del mostrarsi colpiti di fronte alle notizie date anche dai mass media, non viene abbastanza conosciuto e sviscerato, nel suo contesto, il problema.

La violenza è solo fisica?      Le forme di violenza sono molteplici, e molto spesso convivono. I dati parlano di una donna su tre, vittima di violenza fisica, che va fino alla tortura o alla tratta  psicologica, sessuale, economica o religiosa. Poi c’è lo stalking, che rientra nelle violenze, essendo un comportamento reiterato e persecutorio agito verso la vittima con minacce, insulti o messaggi di  contenuto minatorio anche a mezzo web o telefonino.  Il fenomeno è sommerso e le statistiche spesso lo sottovalutano. L’Istat dà un identikit: donne tra i 30 e i 40 anni, spesso laureate: ma queste sono solo quelle che denunziano, mentre molto spesso le donne più giovani o quelle alle prese con un bambino piccolo o quelle senza lavoro non lo fanno, per paura di ritorsioni o per l’idea di poter “rovinare la famiglia o togliere il padre al proprio figlio”. Invece le persone o i minori che sono intorno o vicino alla donna che subisce violenza ne pagano ugualmente le conseguenze, soprattutto i figli, che, quando non di violenza diretta, sono vittime di “violenza assistita”: il danno, per loro, è immenso, e va dall’introiettare l’habitus del violento, perpetrandone le gesta(soprattutto per i maschi) all’essere a loro volta vittime di violenza(per le femmine), passando attraverso una serie di problematiche sia affettive che comportamentali e di salute.

In che condizione arrivano queste donne al centro? Le donne che arrivano allo sportello Ospedaliero (Osp. Cardarelli), dove io lavoro, sono inviate qui a seguito di referto del Pronto Soccorso, altre ne arrivano spontaneamente presso i Centri Territoriali, diffusi un po’ dovunque nella Regione, come all’Associazione Salute donna. La rete dei vari presidi è stata prevista, per la Regione Campania, dalla Legge 22 del 2012, che, in ottemperanza alle leggi nazionali e internazionali, favorisce una sorta di coordinamento delle strutture.  Tutte, o quasi tutte le donne vittime di violenza non riconoscono la gravità di quanto subiscono, perché la violenza domestica, che è la piu’ diffusa, non viene percepita nella sua entità e gravità. S’insinua una sorta di assuefazione, per cui la vittima subisce anche per anni le azioni del violento che la portano ad uno stato di sottomissione crescente, con paura e senso di impotenza,sfiducia e disistima con senso di colpevolizzazione  e tutto questo viene perpetrato intenzionalmente dal maltrattante all’interno di un rapporto con un dislivello crescente di potere  tra il partner, che esercita così il suo ruolo dominante, e la vittima, che lo subisce fino all’annientamento. Questa escalation rispecchia stadi precisi e codificati di graduale annientamento. Possono passare anni, e spesso la donna si reca molte volte al Pronto Soccorso, a volte mentendo su come si sia fatta male e portando i Sanitari fuori strada. Ma da un’analisi attenta, che ha previsto anche una formazione sul campo degli operatori, se ben ascoltata e supportata, senza che si senta più vittima, la donna può iniziare a parlare e a raccontare: è questa l’unica strada per iniziare un recupero. La legge, infatti, prevede varie forme di tutela fino  all’allontanamento della donna, quando è in pericolo o lo potrebbe essere, così come per i minori, anch’essi vittime incolpevoli, esistono Case Rifugio ad hoc che possono ospitare la donne e i propri figli.

 Quali sono le risorse da mettere in campo per un intervento e una conoscenza più capillare del fenomeno?        Le risposte devono essere concordi nel riconoscere la donna come vittima e non colpevolizzarla con false idee o stereotipi, del tipo:-“Sopporta, anche per i figli, l’hai scelto tu, cambierà”.  Tutte le strutture, sanitarie, scolastiche e le Forze dell’Ordine, devono conoscere bene il fenomeno, nei suoi risvolti, anche legali, ed adoperarsi per affrontarlo e ridurlo. Dobbiamo lavorare tutti per questo, perché la violenza è un male che riguarda la società e la mina dal profondo.

–  Come si riconosce la violenza psicologica, quella che si mimetizza di più?         E’ vero, la violenza psicologica non è facilmente dimostrabile, come del resto anche quella sessuale non lo è sempre. Infatti spesso le cause per violenza hanno difensori del soggetto abusante(per abuso si intendono tutti i tipi di prevaricazione di un  genere sull’altro), che si appellano alla mancanza di prove visibili. La prima prova , che non va mai sottovalutata, è il racconto della donna e/o del bambino e il loro stato, che, visibilmente, presenta i segni riferibili a quello che viene descritto come “disturbo  post traumatico da stress”: il soggetto sottoposto a violenza, infatti, appare quasi sempre depresso, con scarsi interessi, poca capacità a reagire e con una memoria frammentata rispetto alla stratificazione degli eventi vissuti. Solo con un colloqui molto lunghi, che vanno svolti con particolari modalità, emergono gradatamente i ricordi, misti alle paure e accompagnati, nei punti salienti, anche da pianto. Non va mai dimenticato che la donna sottoposta a violenza spesso diviene assecondante, soprattutto se ci sono i figli, al fine di diminuire le tensioni. E, a volte, proprio il metterla di fronte alla sua responsabilità rispetto a cio’ che i figli vedono o sentono, e al trauma che ne può conseguire su di loro, può sortire l’effetto di prendere la decisione di denunziare o allontanarsi. La violenza psicologica è sottile ma va a scavare nel profondo, inizia col centrare tutti gli interessi sul partner, che è egocentrico , possessivo e geloso, portando la donna ad un graduale isolamento, dal lavoro, dagli amici e dai parenti e da tutti i suoi interessi. Alla fine, isolata ed annullata, la donna si inizia a sentire incapace, anche nell’allevare i figli, e così si instaura il legame traumatico, basato sulla confusione tra amore e possesso, che la porta ad essere oggetto-vittima. Spezzare questo legame significa ridarle fiducia e consapevolezza di non avere lei la colpa, come il violento è solito fare, e ricostruire così pian piano il suo io. Spesso ci sono anche registrazioni e messaggi che sono molto chiari  e possono essere usati come prove, così’ come per i minori,i segnali sono chiari, e vanno dalla scarsa capacità di attenzione a vari livelli di malessere il cui ascolto deve essere sempre fatto in maniera protetta e da parte di personale esperto (questo soprattutto nei casi di abuso sessuale o incesto).

I Servizi che lavorano per queste problematiche devono avere personale specializzato e motivato e, fino ad oggi, molti sono i casi andati a buon fine. Anche i Giudici dei Tribunali sono responsabili di questo buon fine e dovrebbero essere tutti concordi nell’usare metodologie comuni, senza ricadere nei soliti pregiudizi: per  esempio in Inghilterra ci sono Giudici che fanno capo ad un Tribunale per la Violenza e Forze di Polizia formate, questo ha fatto ridurre le statistiche, anche dei femminicidi.  L’attenzione su questi problemi deve essere rivolta a fotografare il contesto, illuminando tutto il sistema che circonda la donna e i propri figli, al fine di comprendere meglio anche gli sforzi che lei ha potuto mettere in atto di fronte alle varie e immense difficoltà vissute. Sicuramente c’è ancora molto da fare, ma l’informazione giusta, partendo dalle Scuole e la formazione di tutti gli operatori sono le basi.

A chi spetta il compito di segnalare?           Esistono le segnalazioni immediate da poter indirizzare a Telefono Rosa (http://www.telefonorosa.it/) o637518282 o ai centri territoriali specializzati o all’Ospedale. Alcuni operatori ,come quelli della sanità e anche della scuola, non possono esimersi dal segnalare il reato (riconosciuto tale da leggi nazionali e internazionali), se entrano in contatto con un caso di violenza, anche se presunta. Non spetta a loro stabilire se è vera o no, questo è un compito del Tribunale, ma il silenzio diventa a questo punto complicità.