Napoli Film Festival, note a margine. Giovani registi discutono il “sociale”.

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photo of an old movie projector

L’emarginazione è stata il fil rouge scelto al Napolifilmfestival per la sezione “stranieri” di quest’anno, con argomenti quali l’immigrazione, la povertà, la tratta di esseri umani, l’incomunicabilità familiare. Vincitore è risultato “Enclave”, un’opera sulla discriminazione della minoranza serba nel dopoguerra del Kosovo, in cui l’iniziale inimicizia tra un bambino serbo e uno albanese si tramuta nella presa di coscienza di una stessa “umanità”. Al di là della qualità maggiore o minore delle pellicole, il festival ha ribadito un dato importante: il dominio della questione “sociale”, che accomuna le rassegne di questi anni. Per fare chiarezza abbiamo chiesto un parere ad alcuni registi emergenti napoletani (copia-incolla i link per vederne i corti): il trionfo di festival e produzioni sul sociale è sintomo di un particolare fenomeno? E’ un argine alla libertà di creazione?

Matteo Florio, autore di “Family”( https://www.youtube.com/watch?v=_hefs2pwd1k):-“ Che il “sociale”  sia una cifra essenziale per garantire al proprio lavoro la qualificazione ai festival deriva da due fattori: il primo, di ordine emotivo, nel suo senso più intimo (dal latino e – movere ‘trasportare fuori’), è la capacità di evocare immagini e situazioni ‘familiari’, che appartengono alla coscienza di ognuno di noi: forme visive e sentimentali interiorizzate nell’inconscio collettivo della società che il cinema sociale è grado di tirar fuori con più semplicità rispetto al cinema non sociale. Il secondo fattore, più banale ma non per questo meno influente, è di ordine morale: l’Italia è un paese cattolico, con una morale cattolica e nel quale la maniera cattolica influisce molto. Organizzare festival, proiezioni, galà del cinema sociale e non, magari, del cinema horror o erotico, è certamente più semplice e sia istituzioni che pubblico rispondono in maniera più partecipativa e interessata. Per quanto riguarda la creatività, bisogna sempre tener presente che il cinema è uno strumento di ricerca e di condivisione comunitaria fra i più influenti, sia sotto il profilo estetico-emotivo sia sotto quello pedagogico. Perciò, ritengo che la tematica sociale non costituisca un ostacolo ma una delle innumerevoli possibilità che l’autore ha per comunicare con il suo pubblico.”

Ciro Scognamiglio, autore di “Killer”(https://www.youtube.com/watch?v=hgDJL0MsNrg):-“ Sparare al cuore su un bersaglio a braccia aperte ad un metro di distanza è compito facile, no? Il sociale è una carta vincente perché si colpisce la parte più vulnerabile dell’animo umano ed è quasi sempre centro, perciò il pubblico, sentendosi molto più coinvolto, pensa che il prodotto sia bello a prescindere, anche quando magari è qualitativamente scarso. Io penso che “l’italiano medio”- alias “investitore medio”- ha paura di investire in prodotti “diversi”, se così li vogliamo definire: le produzioni vogliono guadagno sicuro, ecco perché girano i soliti cine-panettoni, utili a divertire e svagarsi per 90 minuti, ma che non hanno niente a che vedere con il Cinema, oppure lavori a tema sociale che “…tanto la gente ci va perché è una bella storia…”. Qualche barlume di ricambio si è visto con film tipo “Lo chiamavano jeeg robot”, ma si tratta di scimmiottare un genere americano e non è vero che esiste solo il blockbuster fatto di effetti speciali e costosi, esiste anche un “altro” cinema, fatto di storie accattivanti. Nel caso del mio corto, il pubblico in sala mormorava che era una cosa bella, nuova e ho avuto diversi apprezzamenti: questo mi fa pensare che c’è possibilità di fare qualcosa di diverso ma nessuno ci prova. Il pubblico va educato e bisogna proporre alternative, altrimenti prima o poi si annoierà.

Sabrina Coppola, autrice di “In calce”(https://www.youtube.com/watch?v=n5rx27QenBM):-“ Dal momento che il compito principale di un regista è quello di osservare ciò che lo circonda ed analizzare le pecche della società in cui vive, non credo che il trionfo di festival e produzioni sociali sia sintomo di alcun fenomeno particolare. Il cinema indipendente, sin dalle origini, è difatti caratterizzato da questo stampo di tipo sociale per una chiara motivazione: mentre il cinema delle grandi produzioni ha il preciso scopo di intrattenere il pubblico, con tematiche più o meno impegnative, quello indipendente offre agli spettatori un prodotto che magari non contiene tutte le caratteristiche di intrattenimento, ma offre più spunti di riflessione. È la denuncia, a mio parere, il vero compito dei film di stampo sociale. Un esempio lampante è “Simshar”, concorrente al Napoli Film Festival, che nonostante la trama interessante e romanzata, non perde occasione di denunciare la questione dell’immigrazione e tutti i problemi che la circondano. Non credo sia un argine alla creatività: il “sociale” è una branca del cinema, addirittura lo definirei un genere, che abbraccia documentaristica e intrattenimento, che si impegna affinché lo spettatore non assista passivamente alla proiezione, ma anzi, sia portato a partecipare attivamente alla visione attraverso il coinvolgimento emotivo e la riflessione.

Hace Dig, autore di “Persona”(https://www.youtube.com/watch?v=o4_a92gqLlM):-“ L’opera filmica ha la capacità di dare emozioni oltre alle semplici informazioni di un telegiornale: vedere cosa accade nel resto del mondo, come si sentono le minoranze, cosa comporta una guerra, in modo drammaturgico, ci fa immedesimare. Il trionfo del sociale indica un cambiamento che sta avvenendo al mondo e all’immaginario comune: siamo in un periodo nel quale capiamo che c’è un forte bisogno di umanità. Oltre ogni guerra, ogni razza, ogni cultura, ogni religione ed ogni diversità c’è l’umanità che deve poter muovere ogni azione e la scelta del sociale è forse un invito ad aprire le nostre frontiere mentali. La perpetua attenzione su questi temi, però, non deve sbarrare la strada a lavori di argomento diverso: l’opera artistica deve poter raccontare un qualsiasi tipo di storia, sentimento ed emozione, proprio per questo l’arte viene considerata universale e senza genere. Valorizzare solo le opere a sfondo sociale è scorretto e purtroppo in Italia sono rare le produzioni e i festival a film d’azione, noir, thriller, grottesco, ecc..”