Pino Daniele secondo noi giovani

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Pino Daniele

Nell’emozionarsi esistono scelte. Ai giovani, intendo la media dei ragazzi, piace molto stare con le cuffie nelle orecchie a qualunque ora e qualunque luogo del giorno a sentire musica che possa liberarli da qualcosa: da una malinconia o una nostalgia fino a un vuoto di tempo. E’ lì che entra la scelta: emozionarsi con la pancia o con la testa? Molti si gettano a capofitto nella prima, magari mettono su un pezzo di Adele o Rovazzi, altri scelgono la testa e prendono una sinfonia di Berio (ma non è detto che a livello del singolo le categorie non possano essere invertite). Esiste la via di mezzo: la pancia che fa riflettere e la testa da pugno nello stomaco, d’altronde dovrebbe essere il mestiere della canzone: è questa l’idea che può incarnare Pino Daniele per i giovani. C’è chi usa “la pancia della gente” per speculare e istupidire, come la gran parte dei successi commerciali del momento, che il tempo di rimpinzarsi di soldi e poi scompaiono veloci come erano apparsi e chi la usa per rivelare e svegliare le coscienze. A due anni dalla scomparsa di Pino Daniele, ci accompagnano le parole di tre giovani della nuova generazione che non l’hanno vissuto nel suo momento rivoluzionario. Duilio Meucci, 30 anni, chitarrista:-“Daniele rappresenta per me il simbolo di un periodo che mi sarebbe piaciuto vivere, un’epoca quasi magica, di grande sospensione per una Napoli inconsapevole di quel suo stesso potenziale espressivo che in quegli anni finalmente tornava a risplendere. Musicalmente non ha mai cantato una città – chi mai potrebbe – ma ne ha inventata una, letteralmente, di sana pianta, sublimando i caratteri della quotidiana e facendone un mondo poetico nel quale oggi in tantissimi, come me, si riconoscono. Ognuno a modo proprio.” 

 Pino Daniele fa parte di quelli che, da Paul Maccartney a Bob Dylan, vegliano sull’immaginario dei giovani perché il loro linguaggio diretto è il più vicino al loro modo di sentire la vita, quella visione ancora “bianco o nero”, senza le mezze misure che subentrano nell’età adulta. Attenzione, linguaggio immediato ma non esente da sottotesti, da diverse chiavi di lettura; si prenda ad esempio di “Yes, I know my way”:-“ Siente fa’ accussì/ nun dà retta a nisciuno/ fatte ‘e fatte tuoie /ma si hai ‘a suffrì’ caccia ‘a currea/ siente fa’ accussì/ miette ‘e creature ‘o sole/ pecchè  ‘ann’ ‘a sapè’ addò fa’ friddo e addò fa’ cchiù calore”, c’è tutto un mondo di saggezza popolare mescolato a situazioni di attualità di Napoli che si legano in immagini. C’è chi rimane più tiepido, Matteo Cocca, 21 anni, pianista:-“Personalmente, non sarei sincero se affermassi di riconoscere in Pino Daniele un idolo. A Napoli è ormai divenuto un mito: “ipse dixit”, insomma, o meglio “ipse cecinit”. Tuttavia, non posso certamente nascondere la mia grande ammirazione per la sua musica, con cui siamo cresciuti un po’ tutti. “Passa ‘o tiempo e che fa’, tutto cresce e se ne va”, cantava Pino in una delle sue canzoni a mio avviso piú belle,  ma almeno in parte si sbagliava: la stima e l’affetto dei fan non possono far altro che crescere nel tempo, ma non potranno mai estinguersi.”

Non esiste la musica dei giovani, esiste cosa i giovani vogliono attingere dalla musica, quale via d’uscita possono scorgervi. Dai più impegnati ai più pigri tra loro, oggi tutti sono immersi in un mondo dai mille stimoli al secondo, il tempo della globalizzazione che in alcuni casi porta a tragiche conseguenze comportamentali perché i ragazzi non sanno come convogliare tutti questi linguaggi alle cui sollecitazioni sono esposti, finendo nel baratro dell’appiattimento quando potrebbero farne un tesoro di dinamismo. Pur se Pino Daniele negli anni ’80 non poteva avere idea dei parametri dell’epoca presente, l’orizzonte storico di Napoli ha portato sempre con sé una “globalizzazione” interna per via delle tante culture di cui la propria cultura è informata, mélanges che Pino Daniele ha declinato secondo i tempi. Con le contaminazioni musicali e linguistiche (dal blues al funky al rock e del napoletano con l’inglese) proprie del suo stile, ha trovato una chiave di cui anche noi, giovani e non solo, possiamo appropriarci: lo sfogo sta nel rendere una situazione creativa, senza rassegnarsi. Allora la “ ‘pocundria ‘e nisciuno” diventa la rappresentazione del tipico adolescente della sua età; “a che serve sta’ accussì, semp’ ‘ncazzato ma po’ pe’ chi” serve per prendersi in giro e liberarsi dai cattivi umori attraverso un rispecchiamento… Ecco che Pino Daniele si stacca dal Sud per diventare un personaggio del mondo, perché da Napoli a New York, “Quanno good good cchiù nero d’’a notte nun po’ veni’”. Carlo Campanile, 21 anni, chitarrista, conferma la radice di tale poetica:-“ I suoi pezzi, semplici e profondi, stanno a Napoli come le canzoni di John Lennon a New York: hanno saputo intuire l’archeologia di una città a partire dalla vita di strada e dalla malinconia tipica delle metropoli di mare. Pur legandolo, come molti, ai pezzi che lo hanno reso celebre, resta impressa in me una sua apparizione di qualche tempo fa al Crossroads Festival di Eric Clapton fra Joe Bonamassa e Robert Randolph, due giovani “mostri sacri” del rock-blues americano: la lezione di umiltà che ha insegnato su quel palco è, in definitiva, in quella voglia imprescindibile di fare musica semplicemente per il piacere della gente, riuscendo a “parlare alle folle senza perdere la virtù, o a passeggiare con i Re, rimanendo sé stesso”, come recitano dei celeberrimi versi di Rudyard Kipling.”