Gli studenti non conoscono l’italiano. De Blasi: “Diminuito il contatto con la scrittura”

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“È chiaro ormai da molti anni che, alla fine del percorso scolastico, troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente”: comincia così la lettera indirizzata al presidente del Consiglio, alla ministra dell’Istruzione e al Parlamento e firmata da oltre seicento docenti universitari per denunciare le carenze linguistiche degli studenti.

“La colpa non è dei ragazzi” afferma Nicola De Blasi, Accademico corrispondente della Crusca e Professore ordinario di Linguistica Italiana dell’Università di Napoli “Federico II”, in accordo con quanto dichiarato nei gironi scorsi su Repubblica da Massimo Cacciari, uno dei firmatari dell’appello. “Sarebbe semplicistico spiegare la situazione in questo modo” spiega De Blasi “significherebbe attribuire le colpe di una malattia alla persona che ne è affetta. Individuare un colpevole è sicuramente difficile; credo che si possa spiegare col fatto che, negli ultimi tempi, si è perso il contatto assiduo con la scrittura e di conseguenza l’importanza di cui dovrebbe godere la lingua scritta”. “È chiaro che i tempi sono cambiati. Io non demonizzo la velocità e l’immediatezza nella comunicazione, ma affidarsi unicamente ad una lingua veloce genera incertezza”.

La mancanza di allenamento nella pratica scritta, il ricorso all’immediatezza e alla superficialità e la scarsa frequentazione della scrittura, luogo della fissità, determinano così le attuali condizioni in cui versa la lingua italiana tra i giovani. D’altronde se, come aveva già notato in un’intervista di RAI Letteratura il Professore Tullio De Mauro, scomparso lo scorso 5 gennaio,  “la lingua italiana sta bene, per chi la sa usare, stanno male gli italiani che la sanno usare poco” c’è da dire anche che “la lingua italiana gode sì di buona salute ma le lingue non esistono in sé, esistono se qualcuno le parla” precisa Nicola De Blasi. “Per cui le condizioni della lingua dipendono dalle condizioni culturali dei parlanti. Occorre che ci sia dunque maggiore consapevolezza e meno incertezza, anche sulla storia e le caratteristiche di una lingua”.