I Vini di Indovino: il sommelier recensisce il rosso toscano per i piatti pasquali

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Toscana Rosso IGT, L’Apparita, Castello di Ama, 1997
Ci troviamo a Gaiole in Chianti, ad Ama per l’esattezza, in un piccolo borgo medievale posto sulle colline a quasi 500 metri sul livello del mare. Un tempo era dimora delle Casate più importanti del chiantigiano, i Pianigiani, i Ricucci ed i Montigiani, che hanno investito tanto nella viticoltura di queste colline, contribuendo in maniera significativa al blasone dei grandivini toscani, ed alla tradizione che è stata fortunatamente portata avanti nei secoli a venire. Negli anni ’70 le famiglie Carini, Sebasti e Tradico, comprano circa 65ha di vigne proprio su queste colline, in 3 conche naturali, chiamate Bellavista, La Casuccia e San Lorenzo, e nel 1976, con la prima annata, fondano l’Azienda Castello di Ama: che prende il nome dal borgo omonimo. L’intento, sin dalle prime battute, è stato quello di produrre vini che fossero all’altezza del blasone che i vini Toscani si erano conquistati in circa 500 anni di storia, ed in seguito, nel 1997, raggiungono l’attuale superficie vitata di 80ha con l’ultimo vigneto, quello di Montebuoni. Oggi Castello di Ama è di proprietà delle stesse famiglie che l’anno fondata, condotta dalla generazione successiva e curata sul piano enologico da Marco Pallanti, marito di Lorenza Sebasti: toscano di origine, e cresciuto professionalmente tra la Francia e la sua terra natìa, sino a ricevere nel 2003 il titolo di enologo dell’anno!
Quest’oggi vi parlo dell’Apparita, il primo Merlot toscano in purezza, prodotto a partire dal 1985 da diverse parcelle (3.84ha totali) poste alla sommità del Vigneto Bellavista. Queste vigne, impiantate nel 1975 con Canaiolo e Malvasia Bianca, sono state reinnestate tra il 1982 ed il 1985 a Merlot, allevato a Lira Aperta su questo suolo particolarmente ricco di argilla.
Ho avuto la fortuna di degustare la 1997, un’annata storica e ritenuta tra le migliori in assoluto del secolo scorso. Il Merlot è stato vinificato in barriques nuove di rovere di Allier, dove ha svolto anche la malolattica, con una macerazione pellicolare di 23 giorni. In seguito ai travasi post-fermentativi, il vino è tornato nuovamente in barrique dove ha maturato per 15 mesi prima dell’imbottigliamento.
Nel calice si presenta con una vivida, fitta e consistente veste dal colore granato. Il naso è di grande impatto, scuro, terroso e profondo nei primi frangenti, caratterizzato altresì da profumi di cuoio, tabacco, chiodi di garofano, ginepro e radice di liquirizia. Poco alla volta, prendendo respiro, nel calice ha iniziato ad arricchirsi di toni più ariosi, balsamici, ed impreziositi da richiami di confettura di prugne, di amarene sotto spirito e di cioccolato. Il sorso è d’impatto in ingresso, ha corpo, avvolge e prende possesso del palato con disinvoltura, forte di una incredibile freschezza che lo rende vivo e dinamico, e di una grande sapidità che lo rende ancor più stimolante. La trama tannica è di pregevole fattura, sia per estrazione che per maturità fenolica, e questi anni in bottiglia hanno saputo donare, sicuramente, questa finezza che solo un grande vino può raggiungere. Di assoluta piacevolezza, infine, è la chiusura di bocca, perfettamente rispondente, lunghissima, ed in cui la fanno da padrona soprattutto la frutta ed il cioccolato.
Un grande rosso, probabilmente non facile da trovare in giro, ma sicuramente il degno compagno di occasioni importanti compre il pranzo pasquale, e di piatti importanti a base di agnello. I requisiti necessari? Oltre alla bottiglia, l’accortézza nel doverlo stappare qualche ora prima di pranzo, una caraffa non molto ampia per separarlo dai depositi, e degli ampi calici in cui servirlo intorno ai 16°C, godendosi la sua escalation senza fretta e senza strapazzarlo troppo!