Il Gragnano si veste di antico con la fermentazione ancestrale

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Il Gragnano ne ha fatta di strada. Il vino rosso di Gragnano. Quello dalle mille e dolci bollicine. Quello dal carattere leggero e scanzonato che però non mette in discussione la dignità di un grande vino. Proprio quello che fino a qualche decennio fa era consumato dai soli abitanti dei comuni che girano attorno ai Monti Lattari ed intorno al Vesuvio, oggi ha il suo giusto spazio nell’elenco delle Doc italiane ed i suoi estimatori sparsi un po in tutto il mondo. Anche gli esperti più puristi ed i sommelier più intransigenti non hanno più difficoltà ad ammettere che il Gragnano è un gran bel vino ed ha i suoi gustosi abbinamenti ad iniziare dalla pizza che in questa zona ha una tradizione lunga quanto quella partenopea.  Del resto un espressione così antica e genuina di un territorio che sa regalare tante bontà, a cominciare dal rinomato provolone del Monaco Dop per finire alla pasta Igp, doveva necessariamente avere un destino che lo avrebbe portato verso il successo. Merito dei contadini della  zona che hanno continuato a curare le vigne, merito della grande attenzione dei consumatori verso i prodotti tipici locali e merito senz’altro, soprattutto, delle aziende vitivinicole che hanno investito e continuano da investire in un vino che ha contribuito non poco al rilancio della gastronomia di  questo suggestivo angolo della Campania. Tra le aziende che hanno contribuito a questo prezioso rilancio c’è sicuramente il Poggio delle Baccanti di Sant’Antonio Abate che, con Giovanni ed il giovane enologo Raffaele La Mura, continua l’opera iniziata nel dopoguerra da nonno Raffaele figlio di contadino e vignaiolo. Oggi l’azienda, nel solco della propria tradizione familiare, ha fatto scelte che mettono al primo posto il territorio ed un corretto rapporto con esso. Una scelta che li ha portati a curare direttamente cinque monovitigni autoctoni tradizionali quali il “Caprettone” di Trecase, la “Catalanesca” di Monte Somma,  il “Sciascinoso” di Lettere, il “Piedirosso” di Terzigno, la “Falanghina” pompeiana di Trecase che fanno nascere altrettanti vini della Penisola Sorrentina e del Vesuvio. Oltre al Lettre e naturalmente al Gragnano. Dal 2010, poi, l’azienda produce anche vini spumanti utilizzando vitigni autoctoni con metodo Charmat a testimonianza del fatto che anche nella zona della Dop Penisola Sorrentina si possono produrre buone bollicine. Ed è proprio la passione per le bollicine ha portano l’enologo Raffaele La Mura a sperimentare un nuovo metodo per la preparazione del Gragnano. Anzi a riproporre un metodo antico, definito ancestrale, che non si usa più. Questo procedimento è infatti una tecnica risalente a secoli fa  che conferisce al prodotto vinicolo una naturalità che talvolta si perde quando si utilizzano gli attuali metodi di produzione. Il procedimento del metodo ancestrale si avvale dei così detti lieviti indigeni presenti nella buccia degl’acini d’uva. La fermentazione viene effettuata oggi  in serbatoi di acciaio inox rigorosamente a temperature controllate, viene successivamente bloccata ad un tenore di zuccheri ben preciso, necessario a garantire la ripresa del processo di rifermentazione dopo le operazioni di imbottigliamento. Non vengono aggiunti  in questo metodo ne ulteriori zuccheri ne lieviti selezionati. I lieviti e gli enzimi presenti nella bottiglia serviranno ad inibire la formazione di troppa anidride carbonica, creando un vino moderatamente frizzante. I vini prodotti attraverso questo metodo sono dotati di una spuma piacevole, non aggressiva, I lieviti, una volta depositati, restano presenti nella bottiglia rendendo particolarmente complesso il vino prodotto, che sarà caratterizzato da una personalità spiccata, oltre ad una maggiore struttura.