Ciliegie: viaggio tra storia e gastronomia

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“Tene ‘a vocca comm’a na cerasa” recita ‘E spingule Francese, una delle canzoni più famose della melodia napoletana. E non è l’unica citazione. Anche nella struggente “Era de maggio” c’è: “te cadeano nzino a schiocche a schiocche le cerase rosse”. Insomma, le ciliegie per noi campani non sono per niente un semplice frutto. Si usano come termine di paragone o per descrivere i colori, i profumi, la dolcezza e gli amori della bella stagione. Per il palato, che non ha tanti sentimenti, sono una continua tentazione. Una tira l’altra, fino alla fine. Le ciliegie, le cui origini si perdono addirittura nella preistoria, sono uno dei frutti più rappresentativi della primavera. A partire dal fiore che, da bianco a rosa pallido, inonda con i suoi tenui e delicati colori le campagne ed i giardini a fine marzo. In questo periodo, invece, sono pronti i polposi frutti dell’albero di ciliegio ed i colori che si distinguono tra le verdi foglie vanno dal rosso accesso fino al nero, a secondo della qualità e del tipo.  La ciliegia o “cerasa” come si chiama in molti dialetti italiani arriva da noi all’epoca romana (Plinio il vecchio nel suo Naturalis Historia elenca dieci varietà), forse dalla vicina Grecia che con il termine “Chérasos” gli ha dato il nome usato in mezzo mondo. Di questa pianta esistono due specie: il “prunus avium” o ciliegio dolce, quello che mangiamo comunemente, e il “prunus cerasus” o ciliegio acido. Quest’ultimo è la specie selvatica da cui discendono le varietà da frutto conosciute come amarene, marasche e visciole. Le visciole sono conosciute soprattutto grazie ad un dolce della tradizione ebraica capitolina, la torta ricotta e visciole. Da frutta fresca a ingrediente privilegiato per dolci, la ciliegia passa anche per la cucina. Fa la sua comparsa nelle ricche mense rinascimentali come compagno ideale di piatti a base di cacciagione  a cui attenua e controbilancia il forte sapore. Un usanza che rimarrà costante nel tempo, tanto da entrare nei ricettari di molti Paesi. Per esempio, nella colazione offerta dal senato degli Stati Uniti per festeggiare l’inizio della presidenza di Barck Obama c’era anche il “petto d’anatra con chutney di ciliegie”. Ciliegie dell’Oregon dove c’è una buona produzione. In Europa invece è l’Italia a rappresentare uno dei maggiori produttori al mondo con oltre 150 varietà  derivate dal ciliegio dolce e suddivise in due grandi categorie: le tenerine e le duracine. Mentre la Campania, con le sue tante varietà, rappresenta il 30% della produzione nazionale. Nella nostra regione, che proprio in questi giorni tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, gli dedica numerose feste e sagre, le cultivar più diffuse si trovano tra le provincia di Salerno, Napoli e Caserta. Nel Salernitano troviamo la Palermitana,  la Maiatica di Turasi la  Pagliaccia di Siano e quella pregiata di Bracigliano: Mentre nel napoletano ci sono la  Durona del Monte, la Imperiale e la Recca della zona Flegrea. Ma troviamo anche la  Cervina, le  Tamburelle, la  Tenta di Serina e la Fargiona.Tutte varietà salutari e poco caloriche.  Infatti le ciliegie sono frutti ricchi di zuccheri semplici, sali minerali e vitamine. Esse risultano  molto dissetanti ed inoltre favoriscono l’abbronzatura, depurano il fegato e prevengono l’invecchiamento cutaneo. Oltre ad essere consumate fresche o conservate sotto spirito, le ciliege vengono adoperate nelle preparazioni di confetture, sciroppi, liquori, gelati, torte e sono ingredienti di alcuni conosciutissimi biscotti come quello chiamato all’Amarena e dei famosi cioccolatini ripieni Boeri o i più commerciali Mon Cheri . Ma  in questo periodo arriva il momento migliore per usarle nel modo più naturale possibile e cioè come ingrediente di gustose e caserecce crostate.