“Valle del tesoro”, un gioiello in parte ancora da scoprire

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Mi soffermo a parlare della “Valle del Tesoro” ancora una volta per descrivere le particolarità delle terre del Sarno, eccezionali da tutti i punti di vista. Ancora non mi stanco di percorrere realmente e idealmente un luogo ricco di tutto quello che un popolo può desiderare, in tutto favorito dalla natura, dal clima e dalla storia.                                                                         Un territorio che, è bene dirlo in premessa, pur possedendo un patrimonio culturale e naturalistico senza pari, ancora oggi deve affrontare nemici come l’inquinamento del fiume, il degrado dei centri storici, l’elevato  rischio idrogeologico e vulcanico.                                   Eppure è un luogo speciale e “prezioso” per tanti motivi, diversi e considerevoli. Innanzitutto i suoli feracissimi: il Somma-Vesuvio, grande costruttore/distruttore della Campania, ha dato il suo contributo fondamentale alla fertilità di terreni agricoli in cui, come diceva Strabone, le colture possono dare fino a tre raccolti l’anno. La vegetazione, laddove rimasta allo stato originario (ormai solo sui Monti Picentini, sui Lattari e sullo stesso Vesuvio), è mediterranea e più lussureggiante di quello che si potrebbe immaginare. Esempi ne sono le palme nane, le felci a distribuzione tropicale o la pinguicola hirtiflora, pianta carnivora rarissima, che si trovano sorprendentemente sui Monti Lattari, mentre i faggi, i lecci, le querce, l’acero e l’ontano napoletano, il pioppo nostrano o arbusti come il corniolo, la mortella, la ginestra o le rose selvatiche che si possono trovare sui Monti Picentini.

Ma l’elemento che più caratterizza il territorio è sicuramente l’acqua o, meglio, dovremmo dire le acque: il bacino imbrifero che interessa la Valle è copiossimo, nasce dal complesso carsico dei Monti Picentini per scendere a Valle ed unirsi a quelle che scendono dal vulcano e dai monti Lattari.  Esso dà origine a risorgive e sorgenti nella parte alta del corso del fiume Sarno, per un fronte sorgentizio di diversi chilometri. Nell’abitato di Sarno le sorgenti maggiori, non tutte ancora attive (Santa Maria a Foce, Santa Marina di Lavorate, Mercato-Palazzo, San Mauro e Cerola),  altre in posti differenti (Bagni di Scafati, Pompei, Torre Annunziata ) costituiscono solo la punta di un fenomeno che trova il suo apogeo a Castellammare di Stabia. E’ proprio lei  il vero regno delle acque, dove se ne ritrovano addirittura  di 28 tipi diversi, per composizione fisico-chimica e proprietà terapeutiche: si va da quella acidula, a quella ferrata, solfurea, solfurea-carbonica,  magnesica e così via.             Acque salutari, ferrose o calcaree qui sono state utilizzate per tutte le attività umane fin dal lontano Neolitico e note fin dall’antichità per le loro virtù terapeutiche e per i miti cui hanno dato luogo, riguardanti il fiume divinizzato o le ninfe dei boschi. Da questo prezioso elemento deriva non solo una’originalità e abbondanza di frutti della terra, la possibilità di curarsi con le acque, ma lo stesso ricco sviluppo della cultura  nei millenni.   E’ grazie la facile disponibilità di acque che ha indotto popolazioni d’epoca preistorica ad insediarsi in questo luogo, lasciandovi flebili tracce della loro cultura materiale. Da quel periodo in poi le tracce si fanno sempre più consistenti, fino a costituire nel periodo protostorico necropoli con migliaia di sepolture disseminate in un areale che va da San Valentino Torio, a Striano, a San Marzano, Pagani, Pompei, Nocera. Gli abitati relativi, indagati o indiziati, si trovano un po’ dovunque: a Sarno (nei pressi delle sorgenti di S.Maria e Palazzo), a Poggiomarino (Longola), a Striano (Affrontata dello Specchio), a confine fra San Valentino Torio e San Marzano sul Sarno (Zecchignoli), Nocera Superiore e Inferiore. I relativi materiali archeologici della Fossakultur, insieme alle lastre tombali sannitiche dipinte, ai reperti di epoche successive, arricchiscono le belle collezioni del Museo Archeologico di Sarno e di Nocera, facendone dei gioielli piccoli ma non per questo di minore interesse e rimpinguano ulteriormente la già copiosissima collezione preistorica del Museo Archeologico Nazionale di Napoli.                                                         Ma è la storia romana che dilaga nella Valle, lasciando interi abitati a testimonianza di sé (Pompei, Nuceria, Ercolano), ville rustiche o d’ozio (Sarno, Striano, Poggiomarino, Terzigno, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata), monumenti funerari e sepolture (Scafati, Nuceria, Pompei), acquedotti, anfiteatri, strade.                                                                   Che cosa dire o segnalare per questo periodo storico che non sia già stato detto, indagato, approfondito da decine e decine di studiosi e centinaia di giornalisti, in quasi due secoli di studi e ricerche dalle scoperte?                                                                                                     Del resto l’archeologia è nata qui: i primi scavi fortuiti fatti dal Principe d’Elboeuf, nella prima metà del ‘700, che portarono alla luce le prime stupende statue e colonne, insieme ad altri reperti poi dispersi nel mondo, ancora oggi costituiscono il vanto di numerosi Musei stranieri. Ma i Borbone seppero vigilare per impedire la dispersione di un patrimonio culturale senza uguali al mondo, creando il primo Museo per la raccolta di materiali archeologici/architettonici, presso la Reggia di Portici, che stupirono il mondo intero. Le scoperte causarono un rinnovato interesse per la classicità e comportarono la nascita di uno stile che fu detto “neoclassico”, ispirato alle pitture parietali che andavano emergendo dagli scavi vesuviani.                             Generazioni di studiosi, dal Winckelmann al Normand, dal Fiorelli allo Spinazzola, al Sogliano, al Maiuri, al De Franciscis e tantissimi altri, si sono formati in questa Valle archeologica.           Stili delle pitture parietali si denominarono a partire da quelle di Pompei ed Ercolano, tecniche di scavo e di restauro si perfezionarono e affinarono qui e servirono da misura per il resto del mondo. Le “Città Sepolte” dall’eruzione del complesso vulcanico Somma-Vesuvio immediatamente costituirono un’attrattiva straordinaria fin dal primo settecento, rendendo Ercolano, Pompei e il Vesuvio le prime mete internazionali del turismo al mondo. Anche la nascita del turismo culturale internazionale tanto deve alle scoperte di questa Valle, è infatti verso questa zona che si diressero i rampolli della nobiltà europea, che potevano dirsi acculturati solo se avevano visitato le nostre terre all’interno del Grand Tour.                       Pur essendo molto importante per i ritrovamenti relativi, la storia romana non esaurisce quella della Valle, che vede ancora numerose e importanti pagine svolgersi sul proprio territorio, con l’arrivo di Ostrogoti, Bizantini, Saraceni, Normanni, Longobardi, Angioini e altri popoli, ognuno dei quali ha lasciato memorie e vestigia numerose e composite: castelli come quelli di Lettere, Sarno, Nocera, Angri,  luoghi di culto come quelli di Nocera, Castel San Giorgio, Sant’Egidio al Monte Albino,  Pagani, Pompei, Scafati, Angri e tanti altri, imponenti palazzi  storici di  Nocera, Roccapiemonte, Scafati, Sarno, Pagani, Castel San Giorgio, Torre Annunziata, Castellammare, i portali catalani di Angri, i centri storici intatti e di grande interesse come quelli di Sarno, Sant’Egidio al Monte Albino, Roccapiemonte e molti altri, quadri e oggetti d’arte di autori noti e di squisita fattura presenti nelle chiese e nei palazzi di città. L’elenco potrebbe continuare ancora per molto e molto si dovrebbe ancora scrivere per descrivere nel dettaglio le bellezze, le ricchezze di questo luogo incantato, di questo insieme di borghi grandi e piccoli pieni di gioielli, di questa Valle del Tesoro.  Ma la vera questione che si pone con urgenza è quella di una tutela seria dei nostri beni culturali, naturalistici e paesaggistici, senza la quale ogni tentativo di valorizzazione e di diffusione delle conoscenze rimane monco e destinato al fallimento.                                                                                 Le istituzioni locali e regionali, i parchi naturalistici, le soprintendenze, le istituzioni scolastiche devono raccordarsi fra loro e coinvolgere cittadini e associazioni, per cogliere appieno le opportunità date dai finanziamenti europei.                                                               Riqualificare, riconvertire, ridisegnare un’idea di futuro per la Valle del Tesoro, che non passa certo per una reindustrializzazione: si lavori a una sfida alta, che tenga tutti uniti in un unico Museo di Comunità delle Genti del Sarno, per coinvolgere le comunità locali, che possano lavorare nel rappresentare se stesse, in rapporto al proprio alto passato, da rappresentare ai visitatori che continueranno ad accorrere come mosche sul miele della Valle.