“The hateful eight”: in otto per fare la storia.

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Siamo nel post guerra di secessione, e sulle strade di un innevato Wyoming corre una diligenza in cui viaggia “un tipo che ha pagato un bel po’ per un trasporto privato”. Il tipo in questione è John Ruth, detto “il boia”. Si tratta di un cacciatore di taglie, cosi soprannominato per il piacere che prova a consegnare vivi i fuggiaschi per poi vederli penzolare dalla forca. Sulla strada si farà convincere a dare un passaggio da due personaggi che sono politicamente  ed ideologicamente agli antipodi: il primo è Marqus Warren, un ex maggiore dell’esercito nordista, nero, l’altro è un appartenente a quello sudista, e razzista, Chris Mannix.

Il boia, però, non viaggia da solo: ammanettata al suo polso c’è infatti Daisy Domergue, taglia dal valore di 10000 dollari. A causa di una bufera che li incalza, i quattro non riusciranno a raggiungere la loro meta, ma dovranno fermarsi all’emporio della “dolce Minnie”.

Qui avranno una grossa soropresa: Minnie ed il marito non ci sono, ed hanno lasciato a Bob, un messicano, la gestione dell’emporio. Da questo momento la fantasia Tarantiniana ha libero sfogo.

Il film segna una tappa importante nell’evoluzione, cinematografica e non, che il regista ha intrapreso dal film “Bastardi senza gloria””.

Dal primo momento ci si trova spiazzati: il western classico è quello girato in mezzo alla polvere di cittadine sperse nei deserti, sotto un sole che spacca le pietre. Da subito, quindi, capiamo che il genere verrà rivisitato e reinventato da Tarantino, e che The hateful eight sarà un western atipico, in cui i protagonisti devono scappare da una bufera di neve e non dalla siccità di un deserto.

In The hateful eight è la storia razzista e violenta Americana a farla da padrona, in particolare la guerra civile, le sue cause e le sue conseguenze.

I personaggi, infatti, non perderanno occasione di esternare la rabbia, la frustrazione e la delusione che il tragico evento ha lasciato in ognuno di loro.

The hateful eight sembra non voler essere, almeno all’inizio, il classico film Tarantiniano. La tensione non viene tenuta alta dal primo momento, ma anzi sale con calma, quasi correndo, solo all’inizio, il rischio di poter accusare noia e lentezza.

Sempre nella prima parte del film, sembra che Tarantino voglia rinunciare alla violenza ed allo splatter, suoi marchi di fabbrica, offrendo allo spettatore una violenza verbale, ideologica e figurativa piuttosto che fisica. In questi termini non può che passare alla storia l’interpretazione magistrale di Samuel L. Jackson, che porta sullo schermo un ex maggiore Warren rabbioso, cattivo e vendicativo.

Nel momento in cui, però, John Ruth inizia a mangiare la foglia e ad intuire di rischiare di cadere in una trappola messa in atto per salvare Daisy, allora si fa spazio il Tarantino più classico. La farsa, l’inganno e la  vendetta torneranno ad essere prime donne.

Come accaduto con “Bastardi senza gloria”, si gioca continuamente con i concetti di giusto e sbagliato, bene e male, vendetta e giustizia, buoni e cattivi.

La sensazione che niente sia quello che sembra e nessuna sia chi dice di essere accompagna lo spettatore fino al finale che, visto il modo in cui idolatra la violenza, non può essere più Tarantiniano.

The hateful eight è un film maestoso, completo, scorrevole, abbastanza articolato da dare alla luce una trama complessa e comunque capace di non annoiare mai e non far pesare in alcun modo la durata quasi tre ore.