Cancro: sperimentato un vaccino rivoluzionario

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La somministrazione di RNA sintetico alle cellule dendritiche sfrutta le difese antivirali per l’immunoterapia del cancro. È questo il titolo di un recente articolo prodotto da un team di scienziati dello University Medical Center della Johannes Gutenberg University di Magonza (Germania) e pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature. Potenzialmente potremmo essere di fronte alle sedici pagine più importanti dell’oncologia degli ultimi decenni, data la portata rivoluzionaria del loro contenuto.

Immunoterapia e cancro

L’applicazione dell’immunoterapia alla cura del cancro non costituisce una vera innovazione concettuale, essendo quest’idea presente già da alcuni anni nella comunità scientifica. Ciò che fa di questo studio una possibile pietra miliare per l’oncologia è la strabiliante efficacia applicativa del metodo proposto per la cura delle neoplasie, tecnicamente più semplice da attuare e meno costoso di altri proposti in passato e, soprattutto, apparentemente privo di gravi effetti collaterali. Il team di scienziati, guidato dal dottor Ugur Sahin, ha infatti creato una molecola capace di agire come un classico vaccino, che agisce inducendo il sistema immunitario ad attaccare la massa tumorale, distruggendola. Lo scenario che si apre per il prossimo futuro è quanto mai promettente, dato che una tecnica del genere potrebbe soppiantare la chemioterapia, che ad oggi è il metodo più potente a disposizione nella lotta ai tumori, pur avendo numerosissimi effetti collaterali.

Come funziona la nuova molecola

L’equipe di ricercatori ha sfruttato la poliedricità dell’RNA, un acido nucleico presente nelle nostre cellule, per istruire il sistema immunitario a riconoscere le cellule tumorali come nemiche da combattere. L’idea di fondo, messa in pratica dagli scienziati, è quella di convogliare degli RNA, che possano essere tradotti in antigeni tumorali, negli organi del sistema immunitario umano. Per fare ciò sono stati usate delle semplici molecole lipidiche, normalmente presenti nell’organismo umano, e all’interno di questi liposomi sono state introdotte le molecole di RNA sintetizzate in laboratorio. Tramite un’iniezione endovena, queste particelle così composte, dette RNA-lipoplessi (RNA-LPX), arrivano alle stazioni

Una classica cellula dendritica, specializzata nella presentazione dell'antigene.
Una classica cellula dendritica, specializzata nella presentazione dell’antigene.

principali del sistema immunitario, ovvero ai linfonodi, al midollo osseo e, soprattutto, alla milza. Una volta giunti a destinazione, gli RNA-LPX vengono internalizzati dalle cellule dendritiche, così chiamate a causa delle loro intricate espansioni periferiche, le quali leggono l’RNA presente negli RNA-lipoplessi e iniziano a presentare sulla loro superficie un antigene tumorale, che permette ad altre cellule del sistema immunitario, come i linfociti, di attaccare e distruggere le cellule neoplastiche. La chiave di tutto risiede nell’utilizzo, come molecola trasportatrice (carrier), di grassi in rapporto 1,3:2 con l’RNA, poiché questi non solo circolano con facilità nel sangue, ma proteggono anche la molecola di RNA dalla degradazione, bypassando con tale espediente uno dei problemi pratici che la teoria dell’immunoterapia tumorale non era ancora riuscita a superare.

Tramite la tecnica della bioluminescenza si può osservare come gli RNA-lipoplessi, costituiti da RNA e lipidi in rapporto 1,3:2, si collochino principalmente a livello della milza del topo (area colorata del corpo della cavia). Il diagramma a torta indica che gli RNA-LPX sono presenti quasi tutti nella milza (area rossa). Solo una piccolissima parte si ritrova nel fegato (area bianca) e nei polmoni (area grigia).
Tramite la tecnica della bioluminescenza si può osservare come gli RNA-lipoplessi, costituiti da RNA e lipidi in rapporto 1,3:2, si collochino principalmente a livello della milza del topo (area colorata del corpo della cavia). Il diagramma a torta indica che gli RNA-LPX sono presenti quasi tutti nella milza (area rossa). Solo una piccolissima parte si ritrova nel fegato (area bianca) e nei polmoni (area grigia).

Una possibile rivoluzione nella cura del cancro

I vantaggi di una tale pratica sono potenzialmente enormi, perché si andrebbero abbattere i tempi, i costi e gli effetti collaterali delle classiche terapie antitumorali. Difatti, nelle cavie da laboratorio, sono state sufficienti poche iniezioni per indurre la remissione del tumore e la sua scomparsa, con percentuali di riuscita anche al di sopra del 90% per alcuni tipi di cancro, il che rappresenterebbe un livello di efficacia inaudito in ambito medico. I costi, inoltre, sarebbero minori rispetto a quelli richiesti dai cicli di chemioterapia odierni, poiché la sintesi in laboratorio delle componenti delle RNA-LPX non costituisce una tecnica nuova, ma è già rodata ed utilizzata da anni, specialmente ai fini della ricerca scientifica. Un vaccino di tal fatta presenterebbe anche un ulteriore punto di forza, dato dalla durevolezza della sua efficacia, poiché si è osservato che nelle cavie, oltre ad un aumento di interferone-α e di linfociti T effettori, vi è anche un imponente sviluppo di cellule della memoria. Queste cellule del sistema immunitario sono quelle che, ad esempio, ci permettono di evitare una seconda infezione da parte di un agente patogeno, qualora questo abbia già attaccato una volta il nostro organismo (es.: morbillo), e sono alla base del funzionamento di tutti i vaccini. Nel caso specifico, questa proprietà particolare permetterebbe di evitare una recidiva del cancro, al netto di importanti variazioni genetiche delle cellule che lo costituiscono.

Risultati da approfondire

A fronte dei tanti aspetti positivi, bisogna però considerare che questo studio pionieristico è solo alle fasi iniziali, in quanto sono state condotte soltanto delle sperimentazioni su cavie murine e su soli 3 pazienti. La storia della medicina insegna che non sempre ciò che è valido per le cavie è altrettanto valido per l’essere umano, pur essendo un ottimo punto di partenza. Inoltre i tre pazienti malati di cancro, su cui è stato sperimentato questo innovativo approccio immunoterapeutico, sono stati trattati con dosi molto basse del nuovo vaccino, ad evidente scopo precauzionale, determinando comunque una stabilizzazione delle loro condizioni. Come è chiaro anche ad un occhio non esperto, un campione di sole tre persone è irrilevante dal punto di vista statistico, andando a costituire un gruppo molto ridotto da cui non si possono trarre conclusioni generalizzabili su vasta scala. In più, tutti e tre i pazienti risultano affetti da uno stesso tipo di tumore, il melanoma maligno, che per molti aspetti è diverso dalla maggioranza degli altri tumori. Ottimisticamente saranno necessari almeno altri 5 anni di sperimentazione per provare in modo definitivo l’efficacia di queste nuove molecole antitumorali, ma nel frattempo sorgeranno nuovi gruppi di ricerca, che consentiranno di esplorare a fondo questa nuova, promettente branca dell’oncologia.