Da regina di Napoli a regina del mondo L’arte dei pizzaioli partenopei patrimonio dell’Umanità

Pubblicità

L’immagine, che fece il giro del mondo, del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton che, durante una pausa dei lavori del G7 di Napoli del 1994, addentava una pizza, chiusa “a libretto” come nell’antica tradizione popolare napoletana, davanti al banco di vendita della storica pizzeria  “Di Matteo” di via Tribunali, consacrò, ammesso che c’e ne era ancora bisogno, l’idea che questo  piatto unico si identifica con Napoli e Napoli con esso. Un identità che ha creato una folta schiera di maestri pizzaioli made in Napoli e che racconta di come questo pietanza goda di popolarità in tutto il pianeta.  Ma soprattutto un identità che ha portato la pizza napoletana nell’olimpo del Patrimonio dell’Umanità. Infatti, ieri il Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, riunito in sessione sull’isola di Jeju, ha valutato positivamente la candidatura italiana. Perché fare il pizzaiolo, anche per l’Unesco è un’arte e ora questo antico mestiere è riconosciuto patrimonio dell’umanità. I lavori del Comitato Unesco si concluderanno il 9 dicembre e solo al termine di questa ultima sessione il riconoscimento dell’Arte del pizzaiuolo napoletano sarà ufficialmente ratificato.Un bel traguardo che ha fatto gioire la città di Napoli e l’intera Campania. Il lavoro iniziato alla fine  ‘700 e continuato fino ai nostri giorni da generazioni di maestri piazzaioli ha dato i suoi frutti. Centinaia di cognomi famosi dai Sorbillo, ai Di Matteo, dai Condurro ai Bachetti, passando per    Brandi e tanti altri ancora, si vedono riconoscere il merito di aver continuato con passione l’antica arte di famiglia. Del resto tutto è cominciato qui nella città che ha trasformato il semplice impasto di acqua e farina, comune a tutte le civiltà, in una principesca pietanza. Infatti è solo a Napoli che, alla fine del 1700, avverrà il miracolo che ha reso l’impasto prima unico e poi celebre. Fino ad allora la pizza a Napoli era ancora senza pomodoro, bianca, condita con solo aglio, strutto e sale grosso o alla marinara. Con l’arrivo del pomodoro la pizza si afferma in una forma sempre più vicina a quella che conosciamo e diventa , in breve, uno dei piatti preferiti dal popolo. Poi alla fine dell’ottocento entrerà in gioco anche la mozzarella con la creazione della “margherita”,così chiamata in onore di Margherita di Savoia che, in visita a Napoli, la apprezzò particolarmente. Il resto è storia dei giorni nostri: con la secolare tradizione dei maestri pizzaioli napoletani che fanno scuola nel mondo; con le centinaia di pizzerie sparse in tutto il territorio napoletano e dove difficilmente se ne trova una dove fanno una cattiva pizza; con gli ingredienti sempre più usati dei prodotti dell’eccellenze regionali, a partire dal rosso e maturo San Marzano, dal pomodoro del piennolo, dalla mozzarella di bufala, per finire all’olio extravergine d’oliva che stanno traghettando insieme alla nuova generazione di pizzaioli, Salvo, Coccia, Pepe, Russolillo, e tantissimi altri, la pizza verso frontiere sempre più gourmet. Così si chiude un percorso fatto di creatività  e operosità  di un popolo che ha saputo coniugare gli ingredienti giusti al momento giusto per creare uno dei piatti più sani, gustosi, profumati, colorati e fragranti che esistano e che grazie alle dolorose migrazioni, del secolo scorso, ha saputo diffondere nel mondo intero un piatto divenuto il simbolo della gastronomia italiana che oggi è riconosciuto come patrimonio dell’umanità .