La riforma del sistema giustizia. Una matassa troppo grande da dipanare.

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Durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario il Ministro della Giustizia, Carlo Nordio,  ha delineato i piani della  riforma della giustizia, affermando che  potrebbe consentire al paese di recuperare una parte significativa del 2% del Pil. Nordio ha sottolineato come il rinnovamento del sistema possa divenire sia motore per i diritti individuali che per il sistema collettivo. Ha poi posto l’accento sulla importanza della innovazione tecnologica e della digitalizzazione, preannunciando l’ingresso di 4000 unità di personale amministrativo e 1300 unità di magistrati ordinari, entro il 2024. In realtà la riforma del sistema giustizia è una matassa assai grande da dipanare. Non basta onorare gli accordi con l’Europa, per dare attuazione al Piano Nazionale di Ripresa e resilienza, ma affrontare con coraggio e determinazione le criticità esistenti che riguardano il funzionamento dell’intero apparato giudiziario, sentendo e coinvolgendo in maniera diretta tutti gli operatori, sia nella predisposizione che nella  attuazione dei progetti. Più volte, in questi ultimi mesi, l’avvocatura e il ministro della Giustizia hanno avuto una serie di interlocuzioni, con le quali sono stati condivisi una serie di elementi di criticità. Ciononostante, nessuna soluzione concreta e nessun  approdo nel dibattito parlamentare. Esistono problemi funzionali, introdotti dalla stessa digitalizzazione, che hanno completamente denaturalizzato la funzione degli avvocati. Una burocratizzazione digitale, con regole diverse tra vari uffici, che incide sull’operato di chi difende e lede profondamente sul principio della difesa quale diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Ci sono poi le norme no-sense. Con il decreto legislativo 150/22, per esempio, sono stati introdotti ostacoli e limiti alle impugnazioni, che incidono sugli imputati più deboli. Un esempio, tra tutti, il caso dell’imputato assistito dal difensore d’ufficio che  a causa delle problematiche condizioni economiche, non ha la possibilità di nominare un difensore fiduciario. Un arretramento del livello di civiltà del nostro processo e più in generale dello stato di diritto. Vi è poi il problema del finanziamento e degli interventi strutturali ritenuti indispensabili per migliorare la giustizia come servizio pubblico. Temi ancora una volta più avvertiti da magistrati, avvocati e funzionari pubblici ossia da coloro che quotidianamente frequentano le aule di giustizia e conoscono profondamente la realtà giudiziaria. Alla stregua di siffatto quadro, una riforma per una giustizia giusta  dovrebbe prevedere un confronto costante con la professionalità di tutti gli operatori, con un tempo di adattamento culturale e un  cambio di paradigma da parte di tutti i protagonisti.