La tradizione a tavola con la carne di maiale. La Campania dedica tanti gustosi al popolare animale grazie alla bontà del “pelatiello”

Pubblicità

Freddo intenso e camini accesi creano la giusta atmosfera ed aprono la strada ai tanti e ottimi piatti preparati con la carne di maiale. Pietanze che nascono da una storia millenaria e popolare che coinvolge tutto il bel Paese. Nell’intera Italia, isole comprese, c’è una lunga tradizione che risale ai tempi dell’antica Roma. Questa radicata tradizione non coinvolge solo l’industria alimentare che sforna insaccati e costolette in quantità esagerate; ma anche i contadini che ancora oggi amano allevare in proprio il maiale che macellano per uso familiare e che condividono con gli amici. Questa tradizione nasce da un rapporto antico che si è rafforzato da quando l’uomo ha capito che il maiale è uno dei pochi animali di cui non si butta via niente. E’ quello che riesce più di ogni altro, sia con le carni fresche che conservate, a dare il meglio di se. La sua fama nella cucina occidentale trova, però, nella simbologia religiosa ebraica e islamica un contraltare negativo che ne fa un animale immondo per tutti i popoli mediorientali. Per la verità qualche problema iniziale lo ha avito anche con la religione cristiana che, però, è stato subito superato. Tanto che oggi, Sant’Antonio Abate è considerato il protettore degli animali ed in particolare del maiale e si festeggia il 17 gennaio. Ed è proprio in questi giorni che si rinnova la tradizione che vuole il trionfo, a tavola, del suino e dei suoi mille modi di prepararlo. In Campania è il tempo del ragù preparato con cotiche e tracchie e che con il suo “pippiare” profuma case, trattorie e ristoranti. E’ il tempo della minestra maritata con piede e guanciale di maiale. E’ il tempo della salsiccia e friarielli, fegatini fritti o costolette con papaccelle. Ma  è anche il tempo, grazie al freddo asciutto, in cui iniziano le fasi di salatura e conservazione dei salami, pancette, capicolli, lardo e prosciutti, sia nelle case contadine che nelle aziende artigianali, non prima di essersi assicurati, come vuole la tradizione, che la luna sia calante, anzi meglio se a luna sottilissima. La materia prima, ovviamente, dovrebbe essere quella dell’unica razza autoctona regionale: il maialino nero casertano. Si perché in tutt’Italia prima dell’importazione dei maiali rosa dal nord Europa e dall’America, come razza autoctona c’era solo quello nero, come la Mora Romagnola, il Nero siciliano (o dei Nebrodi), la Casertana e la Calabrese. Il nero casertano che si alleva anche nel napoletano, beneventano ed avellinese è di stazza piccola, è un suino di origine antichissime, forse il più antico d’Europa, ha il manto nero con una scarsa presenza di setole, da cui il tradizionale nome di “pelatiello” e le sue carni sono particolarmente tenere e grasse da cui si ottiene  una gustosa sugna ed un ottimo lardo. Dopo aver vissuto un periodo d’oblio è stata avviata la pratica per il riconoscimento Igp. La sua riscoperta in cucina è avventa soprattutto grazie all’opera di chef che sempre di più legano i propri fornelli ai prodotti tipici del territorio.