La grande tradizione popolare del carnevale partenopeo oramai resiste solo a tavola

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Lasagna, carne di maiale, migliaccio, chiacchiere e sanguinaccio restano i simboli della festa più trasgressiva dell’anno

Chiacchiere, sanguinaccio e migliaccio, non sono solo l’aspetto dolce del carnevale nella nostra regione. Ma sono anche i simboli che più resistono ai colpi di una globalizzazione vorace che ingoia e digerisce ogni tradizione locale. Oggi resta qualche tenue traccia, in alcune zone della Campania, di quello che fu il carnevale che coinvolgeva, in una ubriacatura generale, l’intero popolo partenopeo, dai ricchi nobili fino ai poveracci come Pulcinella e la moglie Zeza, la vera star del carnevale dei secoli scorsi. Quel mondo resiste solo nell’atellano, ai confini tra la provincia di Napoli e Caserta, nel nolano ed in alcune cittadine come Capua o Maiori. Oggi intere generazioni non hanno alcuna cognizione della grande tradizione popolare del carnevale che vedeva intere comunità partecipare al funerale del fantoccio che rappresentava carnevale e che tutti chiamavano Vicienz. In compenso c’è rimasta la tradizione gastronomica che resiste con le sue immense bontà che vedono il trionfo della carne di maiale e dei succulenti primi piatti come i Manfredi al sugo con la ricotta o la lasagna che oggi riesce a rappresentare non solo il carnevale, ma anche l’intero bel Paese.  Ma nella nostra regione il martedì grasso, ultimo giorno di carnevale (dal latino levare la carne) è consacrato al maiale in tutte le sue espressioni. Poi, da mercoledì delle ceneri inizierà la quaresima, il nostro ramadan e fino a Pasqua secondo le indicazioni religiose, a tavola, niente grassi. Per cui nel giorno più trasgressivo dell’anno nelle case e nei ristoranti campani si accende la festa con i piatti dedicati alla gustosa carne di maiale.  Succulenti ragù a base di cotiche, tracchie e salsiccia inebriano le principesche lasagne o i Manfredi arricchiti di ricotta. Mentre i secondi, accompagnati rigorosamente da broccoli salatati, sono ad appannaggio di costolette fritte, al forno o alla brace che sono sempre in compagnia della inseparabile salsiccia. Polpette (con macinato di suino) fritte ed al sugo impreziosiscono le lasagne o costituiscono profumati secondi piatti. I dolci, invece, a seconda delle zone, variano tra castagnole, frappe, zeppole, sfogliatelle o santarosa, migliaccio dolce, chiacchiere e sanguinaccio. Il sanguinaccio di antica origine contadina veniva fatto con il sangue del maiale ed è comune in tutte le zone rurali della regione ed oggi, preparato esclusivamente con il cioccolato, rappresenta il dolce per eccellenza della tradizione carnevalesca campana. Tutta questa gustosa tradizione non a caso coincide con il periodo più freddo dell’anno. E’ proprio in questi giorni che nelle zone contadine la macellazione del prelibato animale tocca l’apice, perché il clima freddo e secco permette un’ottima lavorazione e conservazione degli insaccati che costituiranno la riserva alimentare per il resto dell’anno e che vedranno l’assaggio dei salumi pronti con il primo tepore primaverile e le prime fave.