Associazione “Futuro Famiglia”: quando il volontariato è fatto col sorriso

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Sono numerose le attività di volontariato nell’area vesuviana e dell’Agro nocerino sarnese. Obiettivo Notizie intervista una delle portavoci dell’ Associazione “Futuro Famiglia” di Scafati, nata 3 anni fa dall’idea di 3 professioniste:  Annamaria Campitiello (mediatrice familiare),  Maria Luisa Radice (psicoterapeuta) e la responsabile del progetto  Francesca Colombo,  insegnante di scuola primaria e sociologa, che ci fa assistere e partecipare ad una delle attività di gruppo organizzata dalla casa di riposo “Villa Madonnina” di Striano (Na).

 Qual è l’obiettivo principale dell’Associazione Futuro Famiglia?

L’associazione nasce per rispondere ai bisogni psicofisici dell’individuo quindi ci siamo attivati per il benessere psicologico a 360 gradi. Attualmente è stato aperto uno sportello di ascolto, a Scafati dove c’è anche la sede dell’Associazione, dove forniamo consulenza gratuita a chiunque venga a chiederci aiuto. Soltanto un anno fa, invece, da una costola di quest’ Ente, sono nati i Nasi Rossi di Futuro Famiglia che, come hai avuto modo di vedere, tramite la clown terapia ed attraverso il sorriso, portano un po’ di sollievo dove c’è disagio. Non solo in ospedale, quindi, ma diventare clown-sociale vuol dire essere presenti dove c’è bisogno: casa di riposo, case famiglia, carceri. Il clown, quindi, come portatore di pace e sorriso universale.

Perché hai deciso di intraprendere questa strada?

Sinceramente non lo so, non so dire un motivo preciso che mi ha spinto però ti posso dire che personalmente io sono clown da quando mi sveglio la mattina a quando vado a coricarmi la sera: per quanto mi riguarda è una filosofia di vita. Non si può mettere una maschera, il clown è una condizione dell’anima.

Dagli occhi e dai sorrisi si percepisce che ci credi molto…

Si, io ma anche “i miei ragazzi” crediamo molto nella funzione terapeutica del sorriso; riscoprire le emozioni attraverso il sorriso e cambiare l’atmosfera, coinvolgendo tutti: medici, infermieri, genitori, le quali alcune volte diventano oggetto-bersaglio per creare una situazione piacevole. Mi piace pensare che siamo l’anello di congiunzione tra il paziente e il medico che smorza il grigiore della corsia. In questa casa di riposo abbiamo un po’ portato un qualcosa fatto già in passato perché l’ambiente in un certo senso lo permette. Quando noi entriamo in ospedale questo non accade: è tutto improvvisato.  A differenza delle case di riposo, in ospedale non sappiamo chi ci troviamo di fronte. Una volta osservata la situazione ci rendiamo conto e facciamo un intervento ad hoc su quella persona.

Avete difficoltà a conciliare la vita privata con l’essere “portatori del sorriso”?

Tutto quello che noi facciamo è volontariato, ecco perche ogni attività svolta la facciamo il sabato e la domenica anche perché in settimana ognuno di noi ha la sua professione o studia, quindi sarebbe un po’ difficile. Per rispondere alla tua domanda posso dire, comunque che non è difficile perché attraverso la nostra autogestione e l’organizzazione riusciamo con facilità ad ordinare ogni tassello.

Pensi che oggi, soprattutto per quanto riguarda le istituzioni, si potrebbe migliorare qualcosa per far divenire il clown sociale una figura professionale a tutti gli effetti?

Guarda il settore del volontariato va proprio a sopperire ai vuoti lasciati dalle istituzioni principali. Noi attualmente ci auto sosteniamo ma lo facciamo con piacere perché quello che facciamo, lo facciamo con passione e dedizione però, secondo il mio parere, e questa è una battaglia personale che porto avanti da tempo, ci dovrebbe essere una maggiore valorizzazione della figura del clown come operatore socio-sanitario, soprattutto nelle strutture ospedaliere. Altro discorso è l’umanizzazione delle cure: i medici sono ben felici di accoglierci nelle strutture e di averci al loro fianco nelle cure dei pazienti.

Hai un aneddoto bello o brutto che ricordi più di tutti?

Brutto, sinceramente no. Ti spiego, la difficoltà maggiore dell’essere clown-dottore è quella di essere contemporaneamente empatici e distaccati. Può sembrare un ossimoro ma anche se noi vediamo costantemente situazioni difficili a livello ospedaliero e nelle altre strutture, cerchiamo di mantenere una certa distanza una volta lasciato il paziente. Io dico sempre ai ragazzi nelle riunioni periodiche, che dobbiamo uscirne leggeri altrimenti si corre il rischio di “burnout”. Non farsi travolgere dalle emozioni personali è un aspetto difficile ma fondamentale. Più che un aneddoto personale in questi casi mi piace sempre ricordare la frase del film Patch Adams che recita così: “Quando curi una malattia si può vincere o perdere; quando curi una persona si vince sempre”.