Federico II vs Germania, la parola ai ragazzi Erasmus

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Portico della Federico II a Porta di Massa

Anche quest’anno è in corso il progetto Erasmus, un’occasione utile perché si studia attraverso il confronto: si apre la possibilità della scelta, ci si rende conto delle somiglianze e delle differenze. Abbiamo perciò inteso dare un assaggio di un’esperienza unica nel suo genere anche a chi non l’ha ancora o non l’ha proprio vissuta, attraverso la testimonianza di due ragazzi della Federico II con le loro rispettive destinazioni: Francesco Pisano, laureando alla magistrale di Filosofia, ha scelto Freiburg e Rita Cioffi, laureanda in triennale della facoltà di lettere classiche si trova a Tubinga.

-Come avete trovato il clima culturale dell’Università tedesca rispetto alla Federico II? E della città che vi ha ospitato?

F: La Albert-Ludwigs-Universität di Freiburg im Breisgau è stata, all’inizio del secolo scorso, il principale centro di elaborazione e diffusione dell’impostazione speculativa all’interno della quale si inscrivono le questioni teoretiche che mi interessano. Al mio arrivo in Germania m’aspettavo, dunque, di ritrovare quelle suggestioni che ho indirettamente conosciuto attraverso questi studi. Per buona parte, è stato effettivamente così. L’ateneo è culturalmente vivace: molte e varie sono le iniziative, dalle lezioni aperte alla cittadinanza alle conferenze, fino alla Lange Nacht (“notte bianca”) e all’attività studentesca. Complessivamente, rispetto alla Federico II, si ha forse l’impressione di una maggiore solidarietà interna al corpo studentesco, come anche tra corpo studentesco e docenti, in vista dell’organizzazione di questi eventi. Ciò è dovuto, almeno in parte, al gran numero di studenti internazionali (non solo ERASMUS) che frequentano l’università. Per lo stesso motivo, Freiburg è in effetti una città studentesca nel suo complesso: più piccola di Napoli, è fortemente indirizzata all’agio degli studenti, per esempio attraverso le agevolazioni relative ai mezzi pubblici e all’ingresso al teatro cittadino. Nondimeno, i costi della cultura rimangono alti: non credo che a Freiburg sarebbe possibile qualcosa come Port’Alba; e in generale viene meno un certo elemento di sorpresa che ancora appartiene alla vita del centro di Napoli. Una parola va spesa per la ricca e funzionale Biblioteca Universitaria, dove sto trascorrendo la maggior parte delle giornate, e che sta a tutt’altro livello rispetto alla BRAU.

R: Culturalmente la città di Tubinga, la storica sede che aveva visto insieme Hegel, Schelling e Holderlin, non ha niente da invidiare a Napoli: la gente è molto accogliente, simpatica e disponibile.

Veduta dell'università di Tubinga
Veduta dell’università di Tubinga

– In cosa si differenzia la maniera di approccio agli esami e allo studio? L’avete trovata più proficua e produttiva dal punto di vista dell’attività intellettuale?

F: Si distinguono due grandi tipologie di lezioni: le Vorlesungen (lezioni frontali) e i Seminare (seminari). Le Vorlesungen sono trattate come cicli di conferenze: due ore a settimana e “applauso accademico” (battendo i pugni sul tavolo) alla fine di ogni lezione. Nei Seminare si è invece invitati fortemente alla partecipazione attiva. Vi sono poi tutta una serie di forme ibride (Interpretationskurse su classici per il primo anno, Masterseminare e altri corsi legati alla presentazione di ricerche autonome per gli ultimi anni). In generale, il pubblico tedesco ha una preparazione meno completa del pubblico italiano, soprattutto in rapporto ai primi anni. Filosofia è materia facoltativa presso le scuole superiori, in alternativa a Religione e pensata più come messa a tema di questioni etiche che come quadro sistematico della storia del pensiero occidentale. Negli ultimi anni le cose si fanno più interessanti – ma anche lì è rilevabile, mi sembra, una certa tecnicizzazione della preparazione rispetto ai singoli studenti e studiosi. Si è, fin dall’inizio, più liberi di seguire la propria stella, con impatto positivo sulla “creatività” – e tuttavia pagando il fio in termini di rigore rispetto ai testi e capacità di contestualizzazione. Soprattutto quando ci si muove dall’aria “storicista” di Napoli, l’escursione è forte. Certamente l’impostazione tedesca è più produttiva dal punto di vista accademico, ma nei termini teoretici della posizione e dell’analisi di problemi – per i quali è essenziale una preparazione storica, condotta sui testi – la formazione italiana mi pare migliore. Tenendo conto della mia esperienza piuttosto limitata, direi che la cosa migliore sarebbe ottenere una solida formazione di base presso le nostre scuole, per poi approfondire la propria ricerca in Germania.   

R: L’approccio allo studio è sicuramente molto diverso rispetto al nostro metodo: ogni esame ha come fine ultimo quello di formare bravi tecnici, in ogni disciplina, per questo gli esami tendono a concentrare lo studio sugli aspetti pratici più che teorici, è questa la grande differenza con il nostro metodo italiano. Io credo che sarebbe perfetto un giusto compromesso tra pratica e teoria.

Veduta dell'Università di Freiburg
Veduta dell’Università di Freiburg

– Che rapporto avete sperimentato tra alunni e professori?

F: Questo è forse il grande punto di vantaggio dell’università tedesca rispetto a quella italiana. Anche gli studenti più giovani sono incoraggiati alla discussione costante coi professori e i più appassionati e competenti sono fin da subito messi in gioco nel lavoro accademico (che da noi resta un sancta sanctorum), lavorando (con retribuzione) come segretari presso cattedre e strutture amministrative. Un esempio solo: il segretario dello Husserl-Archiv, presso il quale sto lavorando su alcuni tiposcritti, ha la mia età. Entrando, il primo giorno, mi aspettavo di trovare un ricercatore o un post-doc; il mio interlocutore era invece uno studente di Master of Arts, come me – tanto è vero che siamo finiti, poco dopo, a prenderci una birra insieme. Lo stesso vale per la Kant und Husserl Lesekreis, il circolo di lettura composto da dottorandi al quale sto partecipando settimanalmente: giovani e meno giovani, di tutti i gradi accademici, riuniti in nome della libera discussione (e, talvolta, in nome della birra).

R: Il rapporto che ho trovato tra alunni e professori varia, ovviamente, in base al tipo di lezione (seminar, vorlesung, ecc ecc.) e quindi dal numero di alunni che seguono una lezione. In generale, ho trovato professori molto disponibili, ma laddove una lezione è seguita da pochi alunni il rapporto diventa ulteriormente “intimo” e direi anche “amichevole”

– Quali vantaggi credete manchino alla nostra università che quelle tedesche, invece, hanno e viceversa?

F: Il vantaggio principale dell’università tedesca l’ho esposto nella precedente risposta: in sintesi, estrema apertura ai giovani e trasparenza nella transizione tra lavoro di studio e lavoro di ricerca. Lo svantaggio principale, rispetto all’università italiana, l’ho invece esposto nella risposta ancora precedente: una forma della didattica troppo tecnica, legata più alla distribuzione efficace delle informazioni che a una rigorosa e conforme immersione nei temi e nei modi della prassi filosofica.

R: Come ho detto prima, all’Università di Napoli manca un approccio di tipo pratico, a quella tedesca forse servirebbe una maggiore preparazione teorica, che però credo sia una pecca del liceo

– Pensate che lasciare l’Italia per assolvere alle proprie ambizioni lavorative significhi “abbandonare il proprio Paese”?

F: Non so cosa rispondere a questa domanda. Dal mio personalissimo punto di vista, assumo una prospettiva internazionalista: almeno l’Europa mi sembra ormai un bacino comune di circolazione di idee in cui i confini politici contano sempre meno, anche in rapporto alla struttura economica che li sottende (e che, in caso di utilità, può ignorarli bellamente). Chi intende seriamente studiare filosofia, perseguendo la carriera accademica, deve fare i conti con quest’idea di mobilità, a cui siamo in effetti costretti. Rispetto a essa, la nostalgia resta forse per lingua e luoghi della propria vita, piuttosto che per un’astratta idea di “Paese”. In ogni caso, mi sembra che a noi, obbligati in questa direzione, non resti che cercare di trarne il meglio, assumendo e riflettendo su ciò che riusciamo ad esperire attraverso di essa – per riportarlo a casa o, ancora meglio, per riutilizzarlo in senso liberatorio rispetto alla paralisi caratteristica delle nostre istituzioni (accademiche e non).

R: Credo che lasciare l’Italia spesso significhi soltanto inseguire un’uscita di emergenza: dubito che a qualsiasi ragazzo faccia piacere lasciare il proprio paese, la propria famiglia e i propri amici, ma è indubbio che fuori dall’Italia siano innumerevoli le possibilità di lavoro e, quindi, di vita ottimale. Lasciare l’Italia è, per me, abbandonare il proprio paese nella speranza di un futuro migliore: questo credo sia legittimo e doveroso per ogni persona.