Città creativa Unesco per la gastronomia: luci ed ombre dell’ambizioso progetto lanciato a Vico Equense

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Nella foto gli chef pluristellati Antonino Cannavacciuolo e Gennaro Esposito

Non basta la scritta, Vico Equense città del Gusto, che giganteggia all’entrata della perla costiera. Ne tantomeno il logo (con degli improbabili spaghetti multicolore che ricordano i fili elettrici) della campagna che vuole lanciare la città in una sfida dal tenore internazionale. Per sostenere la candidatura di Vico Equense all’Unesco come Città Creativa per la Gastronomia ci vuole ancora qualcos’altro. Innanzitutto bisogna preparare la città ad assumere un atteggiamento degno di tale riconoscimento. E questo significa che accanto alla straordinaria bellezza del paesaggio l’amministrazione comunale deve metterci del suo, a cominciare dalla gestione del traffico e avviare una seria politica dei parcheggi. Poi dovrebbe mettere in campo un minimo di regole elementari; ma essenziali per rendere l’ambiente all’altezza della sfida. Vietare i fuochi di artificio che accompagnano ogni festa, dai compleanni ai matrimoni ad ogni ora del giorno e della notte, regolamentare decibel ed orari della musica dal vivo che fa da contorno ad ogni cerimonia, vietare che i motoscafi (di bulli e bulletti), che si fermano nella rada sotto la città abbiano musica assordante e anche di pessimo gusto, sarebbe il minimo indispensabile per rendere la città oltre che bella anche accogliente, tranquilla e veramente ospitale. Una banale ordinanza sindacale aiuterebbe non poco a realizzare l’ambizioso progetto. Poi c’è l’aspetto puramente gastronomico. E’ fuori discussione che la città di Vico esprime da decenni un’identità forte, grazie ai suoi particolari prodotti che vanno dalla pizza a metro per finire con il provolone del Monaco, senza dimenticare ricotta, provola, riavulilli e fior di latte dei tanti ottimi caseifici artigianali. Ma il progetto lanciato dall’amministrazione e appoggiato da due figli illustri di questa terra, oltre che chef di fama internazionale, come Gennaro Esposito e Antonino Cannavacciuolo, va ben oltre la semplice valorizzazione dei prodotti tipici. Essere riconosciuti come creativi in cucina presuppone che quasi tutti i ristoranti della zona debbano rivedere i propri menù. Certo non lo dovranno fare lo stellato Nonna Rosa e qualcun altro. Ma la maggioranza dei locali ha pochi tocchi creativi nei menù che restano ottimi e invitanti ma sostanzialmente tradizionali. E poi tutti dovrebbero rialzare la guardia (ma questo è discorso che coinvolge l’intera costiera) rispetto alla qualità che con tanta presenza turistica tende a scendere pericolosamente. Quindi il progetto, giusto e sacrosanto, va rimodulato e condiviso con tutto il mondo della ristorazione con il coinvolgimento di tutti gli chef che dovranno diventare consapevoli della prestigiosa sfida a cui stanno partecipando. Solo così la città tutta si sentirà parte di una collettività che sta realizzando una bella e gustosa impresa.